Gli ultimi ad averla vista, giovedì scorso, un puntino nel mare quel giorno ancora piatto, sono stati i piloti dell’aereo della Ong Sea Watch. Venerdì un contatto telefonico con il centralino di soccorso Alarm Phone, poi più niente. E adesso, dopo quattro giorni di ricerche condotte con l’ausilio di aerei di Frontex e della Guardia costiera e con avvisi a tutte le navi in transito, la decisione di interrompere le ricerche. Un nuovo naufragio fantasma dopo quello del 16 dicembre di un gommone con 61 persone a bordo.
C’erano una quarantina di persone su quella barca di legno partita dalla Libia la scorsa settimana e diretta a Lampedusa. “ Venerdì mattina – scrive su X Alarm phone – abbiamo perso i contatti con una barca in difficoltà con a bordo da 35 a 46 persone in viaggio verso Lampedusa. Le autorità sono state avvertite ma non abbiamo avuto alcuna informazione e la barca non è mai arrivata a Lampedusa”.
Che l’allarme sia stato effettivamente dato dalle autorità competenti e che sia partita un’operazione di ricognizione aerea lo conferma il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura che, dal suo sistema di monitoraggio, ha rilevato tra il 13 e il 15 gennaio diverse rotte di due aerei Frontex e di uno della Guardia costiera di stanza a Lampedusa. Ma del barcone nessuna notizia così come nessuna segnalazione è arrivata dalle navi in transito in risposta all’avviso Inmar Sat lanciato dal centro di ricerca e soccorso di Roma. E, ovviamente, a Lampedusa, la barca non è mai arrivata. La tragica ipotesi, dunque, è che la barca trovatasi in difficoltà in mare aperto in condizioni proibitive negli ultimi giorni possa essere naufragata, aggiungendo altre 40 vittime al già lunghissimo elenco delle 2.271 del 2023 lungo la rotta del Mediterraneo centrale.
“Ogni ora che passa affievolisce la speranza di trovare vive le 40 persone disperse in mare da giorni. Una missione di ricerca e soccorso sarebbe un dovere europeo, invece anche le navi della società civile vengono tenute lontane da quel buco nero che è il #Mediterraneo centrale”, il commento della Ong Sea Watch. Fonte: Repubblica