Musica di ieri e musica di oggi (di Edoardo Maruca)

MUSICA DI IERI E MUSICA DI OGGI

di Edoardo Maruca

Viviamo da sempre nell’oggi, sono soprattutto i colpevoli d’ignoranza senza radici o propedeutica culturale che considerano l’oggi il tutto. Anche chi si orienta al passato nostalgico o al futuro parte da questo momento e, per parlare seriamente di musica, bisogna allontanarsi da questo presupposto. Se guardassimo con una prospettiva diversa quello che accade sotto il profilo sociale, politico e culturale, fattori imprescindibili da quello filosofico musicale, potremmo fare valutazioni più opportune, perché, se la musica è lo specchio della società in cui è collocata … noi pensiamo quello che ascoltiamo e siamo quello che suoniamo”.

In genere si analizza la propria vita come parametro per giudicare la musica, il che ci porta inevitabilmente a essere nostalgici ricordando “una volta” ma non siamo il paradigma, se non per noi stessi.

La contemporaneità musicale non ce la siamo inventata, piuttosto, ne siamo i padroni pro tempore … Esistono però dei riferimenti che ci possono venire in soccorso; intanto, si potrebbe analizzare la musica contemporanea sotto il profilo sociale oltre che musicale partendo da un riferimento certo: la nascita delle stazioni radiofoniche private.

Gli anni 60/70 per l’Italia, costituirono indubbiamente un periodo di crescita sociale e culturale. Questo si rifletteva anche sulla musica.

Sotto il profilo discografico, il periodo musicale più prolifico, è stato senza dubbio quello tra gli anni 1976 e 1979, ovvero quello della diffusione capillare delle radio. In mancanza di una seria regolamentazione radio televisiva, ogni quartiere aveva la sua piccola stazione pirata e prima che lo stato definisse la linea di demarcazione tra libertà di espressione e anarchia, imparammo a conoscere la discografia globale dell’ultimo decennio, tutta insieme, intendo proprio contemporaneamente.

Nel ’76 la “Standa”, famoso grande magazzino dell’epoca, esponeva sui banconi per la prima volta Roadhouse Blues dei Doors (canzone del 70 in ristampa), Impressioni di Settembre della PFM (del 71) e Made in Japan dei Deep Purple (1972).

Le radio trasmettevano il Tuca Tuca della Carrà e i Creedence Clearwater Revival (già in pensione da qualche anno), la ristampa di “Imagine” di Lennon (del 71) e gli Eagles, che nel 79, in Italia, pubblicarono contemporaneamente Desperado (73), Hotel California (77), e The Long Run. Si imitava John Travolta che ballava con la febbre (del sabato sera). Si suonavano Umberto Balsamo e gli Who, Donna Summer, Area, Tozzi e Luigi Tenco, Chic, Bowie, Jannacci e Venditti ed il ballo del qua qua (con il papero che fa …). Nessuno, invece, temendo per la propria incolumità, accostò Orietta Berti e Teppisti dei Sogni ai Led Zeppelin. Potrei andare avanti per ore ma, avrete sicuramente compreso con quale entusiasmo figli delle stelle, reazionari cervellotici o innamorati fossero incollati alla radio.

Tuttavia, da giovane radiofonico, ogni qualvolta incontravo un esperto di musica sentivo ripetere: ehhh, la musica è finita con gli anni ’70.

Sarà, ma poi arrivarono i Clash, i Police e gli U2 e in Italia: Dalla, Battiato e Conte. Mica cotiche …

Gli anni ’80 furono il periodo che, in assoluto, avrebbero influenzato ogni genere musicale a venire, musica contemporanea compresa. L’umanità non sarebbe più stata così canterina e originale.

C’era chi cantava contro le politiche della Thatcher o la guerra fredda di Reagan e Gorbaciov, chi protestava contro il muro di Berlino, ma anche chi semplicemente voleva andare alla Playa (oh oh ohhhh). Il perché negli anni ’80 sono state incise le più belle canzoni di sempre è riconducibile all’enorme vendita discografica, alla diffusione dei riproduttori (dischi e cassette) e all’oggettiva limitazione della pirateria, a parte qualche nastroteca da strapazzo che sicuramente non avrebbe intaccato le vendite. Naturalmente le case discografiche, così come i produttori, consapevoli del business, potevano permettersi operazioni costosissime: altrimenti, non sarebbe mai stata pubblicata un’opera ciclopica come Breakfast in America dei Supertramp (tre anni di preparazione) o Thriller di Michael Jackson che impegnò oltre cinquanta persone tra tecnici e musicisti per due anni di preparazione vendendo 29.000.000 di copie.

Sono sempre stato Mods, dunque spendevo i miei risparmi per andare ai concerti londinesi degli Style Council o gli Everything But the girl, ma voglio ricordare il pensiero “Rocker” dei Cult, U2, Metallica, Cure, Sonic Youth, Guns’n’Roses, Smiths, New Order, ecc.

Gli anni ’80 trascorsero molto lentamente e alla fine, anche in questo caso, qualche matusalemme Iettatore riteneva che la musica fosse davvero finita …

Sarà, ma poi arrivarono i Nirvana, I Rem, Shania Twain e gli Oasis, I Verve…  ancora mica cotiche!

La grande novità degli anni ’90 fu l’introduzione dell’elettronica musicale su scala industriale, il che significò la nascita di migliaia di studi di registrazione (home) sparsi in tutto il mondo. La musica digitale, aprì incontrovertibilmente nuovi orizzonti, generando suoni fino a quel momento sconosciuti anche a basso costo oltre a permettere capacità di espressione ai non musicisti. Tuttavia, la condizione assolutamente embrionale dell’audio digitale, determinò uno scadimento a volte esasperante di tutto il comparto. E’ incredibile ascoltare l’ottima qualità di una registrazione dei Bachman Turner Overdrive del 73 e l’accozzaglia di suoni elettronici dei capisaldi “Tamar” di sempre: Gigi D’Agostino e Gabry Ponteche avrebbero dovuto arrestare buttando le chiavi della cella nell’oceano”. La libertà d’espressione dovrebbe avere il limite del buon gusto, nella consapevolezza che, per fare musica, sono indispensabili coscienza artistica e preparazione tecnico musicale e, a parte le eccellenze di tutto rispetto, la musica leggera della seconda parte degli anni ’90 abbassò fortemente il livello medio della qualità dell’offerta determinandone una riduzione della richiesta.

La musica è definitivamente finita negli anni ’90, gufava il solito Iettatore…

Sarà, ma con l’arrivo del 2000 le cose iniziarono a cambiare, arrivarono Red Hot Chili Peppers e gli Hooverphonic, Evanescence e Destiny’s Child, e anche i più elettronici Daft Punk o Kylie Minogue avevano una dignità, mica le solite cotiche.

Purtroppo, cd duplicabili, file musicali e i Torrent condivisibili in rete, determinarono una brusca frenata delle vendite discografiche e, in tempo di crisi, si sa, l’unica arma di contrasto è la qualità. Le case discografiche pertanto, limitarono fortemente le produzioni “casuali” dunque non si pubblicava più ”ogni cosa di ogni genere”, specie in Italia. Sotto il profilo tecnico, invece, qualcuno pensò bene di diminuire la gamma dinamica delle registrazioni “a volte troppo” riducendone la “risposta in frequenza” e giocando sulle “armoniche”, dunque migliorando efficacemente la qualità media dell’audio, specie in cuffia o nei piccoli riproduttori. Ormai il digitale aveva superato l’analogico. La musica degli anni 2000, oltre che bella si sentiva anche bene, forse come non sarebbe più accaduto “di questo scriverò la prossima volta”.

Quello che è stato messo in discussione negli ultimi anni, è il concetto del bello che non può essere soggettivo, ne tanto meno determinato da una improbabile giuria televisiva. Il bello è bello, rispetta canoni e parametri, altrimenti non esisterebbero le facoltà di Architettura, l’Accademia delle belle Arti, le Scuole di Arte Drammatica, i Conservatori Musicali e tutta la coscienza artistica sommata allo studio.

Oggi, il livello medio è sensibilmente migliorato “mancano però le eccellenze” e ci sono giovani talentuosi; cosa spinge le masse ad ascoltare Fedez & Co? Mi chiedo perché abbiano un seguito e cosa rappresenta questa musica Trap distorta nelle voci? Non si tratta di una moda bislacca come la Breakdance di un tempo, lo ska, la New Wave, Rockabilly, Punk, Dark e Paninari che tutti sapevano sarebbero durate una stagione, forse… Questi né suonano, né cantano.

La musica è davvero finita?

Quell’antipatico Iettatore che gufava, oggi, sono io.

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