Alì, 23enne afgano, era arrivato in Turchia con tutta la sua famiglia tre mesi prima di imbarcarsi alla volta dell’Italia nella traversata che finirà tragicamente sulla costa di Steccato di Cutro il 26 febbraio scorso. Nel naufragio i suoi parenti sono morti quasi tutti eppure il trafficante che ha organizzato il viaggio clandestino pretende ugualmente dai superstiti la somma pattuita. Per racimolare la quale la famiglia di Alì aveva impegnato i suoi averi. Agli investigatori di Polizia e Finanza il ragazzo ha raccontato i contorni della vicenda. «Mio zio si è incontrato a Istanbul con Said Reza e ha concordato direttamente la liquidazione di una casa e un terreno in Iran per un valore di 118 mila euro come retribuzione del viaggio clandestino dell’intero nucleo familiare di 21 persone.
L’accordo – spiega Alì – era che una volta giunti in Italia mio zio avrebbe dato l’ok per sbloccare tale somma in favore di Said Reza. Però mio zio Mohammad Anwar è morto durante il naufragio, quindi io ho contattato il trafficante Said Reza tramite whatsapp specificando che 16 dei 21 membri della mia famiglia sono morti a causa del naufragio. Per tale motivo – afferma il superstite – noi sopravvissuti non vogliamo sbloccare il pagamento e ho chiesto a Said Reza di eliminare il vincolo sulla somma di denaro depositata presso l’agenzia Hanwala in Iran. Il trafficante mi ha riposto che lui non toglierà il vincolo sulla somma e i cinque sopravvissuti dovranno comunque sbloccare la somma di 40 mila euro, ovvero 8 mila euro cadauno. Ad oggi non abbiamo ancora sbloccato la somma perchè la nostra famiglia è morta e la colpa di questa tragedia è proprio del trafficante, lui ha distrutto la mia vita, io ho perso la mia fidanzata ed ancora il suo cadavere non è stato ritrovato. Non sono io che devo pagare lui – conclude Alì – ma è lui che deve pagare con il carcere».