‘Ndrangheta a Reggio, dall’operazione Monopoli alle maxi confische a Ficara, Giordano e Surace

Andrea Giordano

Nel novembre del 2019, dopo un anno e mezzo, i magistrati della Dda di Reggio Calabria avevano chiuso il cerchio relativamente alle indagini sui quattro imprenditori reggini vicini ai clan e arrestati nell’operazione “Monopoli”.

Le indagini erano state avviate dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia riguardo agli imprenditori reggini Michele Surace e Andrea Giordano, coinvolti anche nell’operazione “Martingala” in quanto indagati in concorso per auto-riciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Michele Surace

IL BINOMIO GIORDANO-SURACE

Le rivelazioni dei collaboratori avevano così delineato i profili dei due uomini che sono ritenuti come affiliati di lunga data al clan “Tegano” di Archi e in contatto con il boss Giovanni Tegano, attualmente detenuto.

Gli approfondimenti dei carabinieri avrebbero permesso di ricostruire la carriera imprenditoriale dei due, partita dall’edilizia residenziale.

Intorno alla fine degli anni ’90 gli imprenditori hanno realizzato il complesso residenziale “Mary Park”fabbricato che ospiterà i locali dell’unica sala bingo cittadina e numerose villette a schiera, in cui avrebbero riservato un appartamento a Giuseppe Tegano, fratello del boss Giovanni.

“Vicinanza” che per gli inquirenti avrebbe garantito ai due imprenditori un eccezionale sviluppo economico: con il tempo sarebbero diventati infatti “un tassello fondamentale per il sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti del clan”.

Per paura dei provvedimenti della Procura reggina, Surace e Giordano avrebbero poi iniziato a effettuare delle manovre societarie per schermare la reale titolarità delle imprese, sottraendole ad eventuali aggressioni patrimoniali.

Carmelo Ficara

Così a partire dal 2016 le imprese edili e immobiliari dei due hanno assunto l’attuale conformazione in Essegi Costruzioni Srl” e “G.G. Edilizia (cie si ritiene fittiziamente intestate ai figli di Andrea Giordano, Giorgio e Giuseppe), ma di fatto gestite da Andrea; la “Construction Italy s.r.l.” e “Coedil S.r.l.” (intestate fittiziamente a Demetrio Modafferi, Giuseppe Surace, Gaetano Hermann Murdica, rispettivamente cognato, figlio e genero di Michele Surace, che ne sarebbe il vero dominus).

Tuttavia il continuo monitoraggio ha portato a scoprire che le quattro società operassero sotto il loro diretto continuo controllo.

Gli indagati sono stati infatti “immortalati” mentre gestivano personalmente le maestranze sui cantieri edili e i dipendenti degli uffici commerciali; mentre ordinavano materiale presso i fornitori; accompagnavano i potenziali acquirenti nelle visite agli immobili in vendita e tenevano tutti i rapporti con il commercialista di fiducia. Ruoli assolutamente incoerenti con gli assetti societari formali.

LA SALA BINGO DI ARCHI: “BANCOMAT” DEI SOCI”Tra le attività economiche nate dal rapporto fra Surace-Giordano e i “Tegano” ci sarebbe inoltre la sala Bingo di Archi, la cui proprietà sarebbe da ricondurre, in parti uguali, a Giovanni Tegano ed al binomio Surace-Giordano, con una sostanziale spartizione di utili tra i presunti appartenenti alla stessa organizzazione criminale.

Dopo l’apertura della sala – avviata nel 2001 ed allocata in un immobile del complesso “Mary Park” – nel 2008è stato lo stesso Michele Surace a trasferirne la titolarità formale al cognato Bruno Mandica, mantenendone comunque l’effettiva disponibilità insieme al socio, Giordano.

I militari del Nucleo Investigativo hanno ripreso i continui trasferimenti di denaro contante che Mandicaprelevava dalle casse del bingo per poi consegnarlo nelle mani dei Surace e di Giordano.

Nel corso delle indagini sono stati censiti almeno 15 episodi, fra dazioni e “prelievi”, così da far ritenere agli inquirenti che l’attività commerciale fosse “un vero e proprio sportello bancomat” a disposizione dei due soci occulti, dal momento che era capace di fatturare più di 10 milioni di euro all’anno.

Tuttavia, la sala Bingo di Archi avrebbe operato in regime di monopolio imprenditoriale, a seguito di accordi stipulati dalla famiglia “Tegano”, titolare dell’iniziativa imprenditoriale, con le altre componenti della ‘ndrangheta cittadina. In questo modo l’attività avrebbe potuto produrre utili per più di 20 anni, “anche grazie alla forza di intimidazione dei Tegano e dall’alterazione delle regole del libero mercato da esse derivate”.

CARMELO FICARA

Gli investigatori sostengono che rispetto a Surace e Giordano, vicini al clan Tegano, Carmelo Ficara sarebbe da considerare come l’uomo d’affari a disposizione della ‘ndrangheta, rispetto alla quale sarebbe divenuto, progressivamente, concorrente esterno.

Gli accertamenti volti a ricostruire la sua intera storia imprenditoriale, hanno portato a ricostruire le numerose cointeressenze imprenditoriali tra Ficara ed il binomio Giordano-Surace, nonché uno storico rapporto di amicizia esistente in particolare tra Ficara e Surace.

Ficara avrebbe avuto un ruolo importante nel 2010, nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale della Magna Graecia di Reggio Calabria.

In questa circostanza la cosca “De Stefano” avrebbe imposto, tra l’altro, all’amministratore della “Co.Bar. S.p.a.”, ditta a cui erano stati affidati i lavori in questione, l’affitto un magazzino di proprietà di Ficara da adibire a deposito temporaneo dei reperti archeologici.

La vicenda dei lavori al museo cittadino era stata già oggetto, in passato, dell’indagine “Il principe” e in quella circostanza l’attenzione degli inquirenti si era concentrata su una serie di estorsioni consumate dalla cosca De Stefano e sul ruolo di primissimo livello rivestito da Giovanni De Stefano, figlio del defunto Giorgio, reggente della cosca.

L’inchiesta aveva ricostruito doviziosamente le tappe della storia imprenditoriale di Ficara, il cui punto di partenza emerge dalle risultanze giudiziarie del procedimento “Alta tensione”, definito con l’accertamento di attività estorsive che sarebbero state consumate ai danni di imprenditori edili operanti nei quartieri reggini di Modena e Ciccarello da parte delle cosche Caridi-Borghetto-Zindato e delle modalità d’infiltrazione occulta della ‘ndrangheta in quel settore..

Il costruttore, infatti, a seguito di quegli accadimenti, avrebbe richiesto l’intervento dei De Stefano per appianare i suoi burrascosi rapporti con i Borghetto-Zindato del quartiere Modena, e da questa iniziale protezione il rapporto si sarebbe evoluto successivamente, “fino a consentirgli di assumere il ruolo di imprenditore di riferimento della potente cosca”.

Infatti, spiegano ancora gli investigatori, a decorrere dal 2007, Carmelo Ficara avrebbe concentrato nel quartiere Archi e nelle zone vicine gran parte delle sue iniziative imprenditoriali, realizzando numerosi complessi residenziali “grazie alla protezione offerta dal sodalizio”.

Dall’inchiesta sarebbe emerso che Ficara non apparterrebbe a quella categoria di imprenditori subordinati, assoggettati all’organizzazione criminale con l’intimidazione, quanto piuttosto a quella degli imprenditori “collusi”, in grado di instaurare con il sodalizio “un rapporto fondato su reciproci vantaggi”.