‘Ndrangheta e massoneria: Cordova aveva scoperto tutto in “Mani segrete”

Fu con il pentimento di Pietro Marrapodi, notaio, ’ndranghetista e grande oratore della loggia reggina “Logoteta”, che nel 1992 vennero svelati eventi fino ad allora rimasti segreti. A raccogliere le testimonianze c’era uno sbigottito procuratore, Agostino Cordova.

Marrapodi fu il primo ad indicare anche numerosi magistrati reggini come massoni collusi.

Dopo le sue scottanti rivelazioni Pietro Marrapodi chiese alla Procura di Reggio e a quella nazionale di avere una scorta che gli fu negata. Una mattina il corpo di Pietro Marrapodi, 62 anni, fu trovato senza vita nello scantinato della sua abitazione di centro città‘, impiccato. Il caso fu velocemente archiviato come suicidio ma i dubbi sulla fine dell’uomo permangono ancora oggi.

Il procuratore Cordova prese spunto da questi eventi per dare il via ad una indagine da cui scaturì una delicatissima inchiesta denominata “mani segrete”.

L’INCHIESTA “MANI SEGRETE” DEL PROCURATORE AGOSTINO CORDOVA

Agostino Cordova, allora procuratore di Palmi, tentò con questa inchiesta di districarsi tra gli intrecci tessuti dalle logge massoniche. Tra molte difficoltà raccolse molto materiale che gli sarebbe servito a dimostrare l’esistenza di un rapporto vincolante tra ‘ndrangheta e politica. Il procuratore riuscì a porre sotto sequestro il computer del Grande Oriente d’Italia contenente l’archivio elettronico di tutte le logge massoniche italiane.

L’inchiesta si allargò fino a produrre circa 800 faldoni e sottoporre ad indagine più di sessanta persone. La maxi inchiesta di Cordova coinvolse influenti personaggi dell’imprenditoria, della finanza, della politica e della stessa magistratura, anche non strettamente calabrese.

Furono trovate tracce di alcuni grossi scandali come quello legato al traffico di rifiuti tossici, del commercio illegale di armi, degli appalti, fino ad arrivare a sospettare di un traffico di uranio con l’ex Unione Sovietica.

Dopo circa due anni di indagini, nel 1994, l’inchiesta fu tolta dalle mani di Agostino Cordova e  trasferita alla Procura di Roma, dove rimase a prendere polvere fino al 3 luglio 2000 quando il giudice per le indagini preliminari Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, accolse la richiesta di archiviazione dell’inchiesta dichiarando il “non luogo a procedere nell’azione penale per 64 indagati ritenuti appartenenti alla massoneria”.

Tra le varie accuse in seguito mosse ad Agostino Cordova  c’è anche quella di aver raccolto una documentazione definita “abnorme”, in altre parole di aver lavorato troppo.

Negli anni Novanta, in Italia, c’erano 146 massoni indagati per mafia e reati politici, 83 dei quali accusati anche di riciclaggio. Fra gli iscritti alle logge figuravano però anche diversi poliziotti e carabinieri, accusati da Cordova di impedire le indagini.