“… Ma le mafie diventeranno molto più pericolose nel momento in cui cominceranno, o hanno già cominciato a comprare, pezzi di televisioni o di giornali…”. Il procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, affermava in maniera sibillina questo concetto ma poi – folgorato sulla via di… Nicaso e dei corsi di formazione di Pellegrini – ha sdoganato e imbiancato tutte le televisioni e i giornali che avrebbero potuto rivestire il ruolo di media calabresi al servizio delle mafie. Del resto, il “personaggio Gratteri” è molto ambiguo per non dire “doppio” e così sia nel 2022 che nel 2023 ha deciso di accantonare quelle dichiarazioni nonostante evidenze decisamente disarmanti. E di aderire alle pagliacciate di uno dei media più impresentabili e imbarazzanti della realtà calabrese. E siccome sono andate in scena tre penose rappresentazioni nel corso del 2023, poco prima che Gratteri se ne andasse a Napoli, ci vogliamo divertire anche noi a ricordare quello che in pochi hanno il coraggio di scrivere.
Nel gran calderone dell’operazione “Rimpiazzo” portata a termine quattro anni fa e che aveva duramente colpito il clan dei Piscopisani, c’era spazio anche per uno dei media più importanti ma anche più chiacchierati della Calabria ovvero il Gruppo Pubbliemme (oggi Diemmecom dalle iniziali del suo patron Domenico Maduli), che edita LaC, per molti anni organo ufficiale della feccia del Pd e che da qualche anno sembra aver rotto i rapporti con la classe dirigente del partito per provare ad assumere una dimensione “libera” che in realtà è solo fumo negli occhi, visto che si sono già buttati con il centrodestra ma più in generale con chiunque “finanzia” la sua ridicola e pacchiana “pubblicità”. Dal momento che ormai tutti sanno che centrodestra e centrosinistra da noi sono una cosa sola e fanno solo finta di litigare, esattamente come Maduli e la sua banda di lecchini prezzolati.
L’operazione “Alibante” ha poi portato addirittura al coinvolgimento per concorso esterno in associazione mafiosa col clan Bagalà del litorale tirrenico lametino del direttore della testata Pasquale Motta, che nonostante il successivo proscioglimento è stato comunque e almeno “disarcionato” dalla postazione di direttore. Prima da Pino Aprile, che dietro alla sua facciata di sostenitore di Gratteri, in realtà, nasconde anni di complicità con soggetti del calibro di… Alessandro Nicolò. Della serie: dai Borboni e dai briganti alla massomafia.
Poi a guidare la “corazzata” c’è stato Pier Paolo Cambareri, utile idiota, che non ha mai fatto “notizia”. E infine sono arrivati al “traguardo” dopo lungo lecchinaggio Alessandro Russo e Paola Bottero, che oggi dirigono il caravanserraglio per conto del “grande” magistrato. Del resto, Gratteri aveva già incontrato nelle sue indagini l’oscuro editore di questo caravanserraglio ovvero Domenico Maduli da Limbadi. Il 6 aprile 2017 un media calabrese concorrente di LaC, aveva pubblicato la sua foto insieme a quei due “galantuomini” di Ferrante e Spasari. Si trattava di due degli arrestati nell’ambito dell’operazione “Robin Hood” della DDA di Catanzaro che ha portato anche alle manette per il consigliere regionale Nazzareno Salerno. Quelli che rubavano ai poveri per dare i soldi ai ricchi. E già allora l’immagine di Maduli e del suo gruppo pubblicitario-editoriale aveva ricevuto un duro colpo.
Ma quello che si apprendeva dall’ordinanza di “Rimpiazzo” lasciava realmente allibiti e quasi senza parole. Ecco i passaggi nei quali si trovano le prove dei rapporti di Maduli con il clan Mancuso e il clan Piscopisani, pubblicati da Zoom24, un sito libero della realtà vibonese.
Una lunga serie di estorsioni capaci di mettere letteralmente in ginocchio il territorio di Vibo Valentia e Vibo Marina. La banda dei Piscopisani non temeva di affrontare i Mancuso nè gli imprenditori che fino, a quel momento, erano stati controllati dalla potente cosca di Limbadi. Un’ascesa impressionante da mettere in difficoltà uomini di comprovato spessore criminale, quasi incapaci di reagire dinanzi a quelle che rappresentavano vere e proprie schegge impazzite. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Raffaele Moscato e Andrea Mantella non lasciano molto spazio alle interpretazioni. Emergono numerosi episodi del modo in cui le ‘ndrine mettevano sotto scacco le attività produttive del territorio. Tra le altre, spiccano le estorsioni ai danni di Domenico Maduli, proprietario di Pubbliemme, oggi Diemmecom.
Il ruolo del “socio”. Stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato e quanto riferito in conferenza stampa dal capo della Squadra Mobile di Vibo Giorgio Grasso, Nicola Barba, raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere, era “socio del Maduli” sotto estorsione dei Mancuso e nello specifico di Pantaleone Mancuso, “Scarpuni”. In un primo momento, nel periodo compreso tra il 2007 e il 2009, Rosario Battaglia, per come emerge dall’inchiesta, si era recato presso l’esercizio commerciale di Maduli a Vibo ed aveva esploso diversi colpi di pistola all’indirizzo della saracinesca. Erano seguite delle “visite” dal chiaro sapore intimidatorio. Successivamente Battaglia aveva chiesto al proprietario di Pubbliemme “il cambio di un assegno postdatato di 10mila euro. Successivamente era stato Raffaele Moscato a chiedere il cambio di un ulteriore assegno di 15mila euro”. A distanza di qualche mese dalla risposta negativa, un nuovo danneggiamento avrebbe colpito l’attività commerciale.
Il pestaggio di Barba. Nicola Barba, “socio di Maduli”, a sentire gli investigatori ed i pentiti, e Michele Palumbo, venuti a conoscenza dell’accaduto, avevano provveduto a far sapere a Battaglia che Maduli fosse già sotto estorsione dei Mancuso e “fosse protetto – sostiene il collaboratore di giustizia Raffaele Moscato -da Pantaleone Mancuso”. Ciò aveva letteralmente fatto scatenare Rosario Battaglia che “unitamente a Francesco Scrugli, aveva aggredito e percosso Nicola Barba per dargli una lezione su chi fossero i destinatari del pizzo pagato da Maduli”.
Da quel momento le cose cambiavano. “I Piscopisani riuscivano ad ottenere due versamenti da parte del Maduli: il primo – scrivono gli investigatori – nel dicembre 2010 e il secondo di 5mila euro nell’estate 2011”. Secondo quanto riferisce Raffaele Moscato, “il denaro era stato consegnato da Maduli a Franco Barba e da questi nelle sue mani, provvedendo poi lui personalmente alla consegna a Rosario Battaglia”. Dopo questi fatti, il collaboratore ha evidenziato “che era seguito un incontro tra Domenico Maduli, Battaglia Rosario e la sua fidanzata Maria Grazia Falduto, a seguito del quale Battaglia aveva deciso di abbandonare l’attività estorsiva ai danni di Maduli, decisione da ricondurre ad una verosimile simpatia del Battaglia per la fidanzata di Maduli”.
Le rivelazioni di Raffaele Moscato trovano piena conferma sia nell’interrogatorio di Mantella che nelle dichiarazioni dello stesso Maduli, rese nel 2017 circa sette anni dopo i fatti contestati agli indagati, nell’operazione “Rimpiazzo”. In quella circostanza Maduli (non indagato nell’inchiesta) ha riferito di aver aderito “alle richieste del Barba – chiosano gli inquirenti – per stare tranquillo “poichè sapevo che il Barba, oltre ad essere pericoloso lui stesso, rappresentava gente pericolosa”, pur nella consapevolezza che fossero richieste a titolo estorsivo”.
Dunque, Maduli “galleggiava” tra il clan Mancuso e quello dei Piscopisani e si guardava bene dal denunciare quanto accadeva alle forze dell’ordine, preferendo barcamenarsi alla meno peggio tra questi pezzi di “malacarne” con i quali evidentemente aveva rapporti che andavano anche al di là delle richieste estorsive. D’altra parte, per sintetizzare questi concetti basta ricordare che il suo “socio” è questo Nicola Barba detto “Cola”, che tutto è tranne una brava persona, anzi diciamola tutta: è un mafioso a tutti gli effetti.
E non è finita qui. Anche nell’inchiesta Rinascita ovvero il blitz di Gratteri del dicembre 2019 si parla molto di Maduli, che si spende per l’affiliato al clan di Piscopio Pietro Giamborino e si mette a disposizione per la “paranza” arrivando addirittura a sostenere che “su Giamborino garantisco io!” (http://www.iacchite.blog/massomafia-maduli-e-i-clan-di-vibo-su-giamborino-garantisco-io/). E il pentito Raffaele Moscato ha confermato, parola per parola, tutto quello che abbiamo riportato sopra per quanto riguarda l’operazione “Rimpiazzo” anche nel processo “Rinascita”. Aggiungendo altri particolari riguardanti l’eliminazione di Palumbo.
La morte di Palumbo e Maduli «sotto a Pantaleone Mancuso»
L’eliminazione di Michele Palumbo, ucciso a marzo del 2011, ritenuto dagli inquirenti uomo di fiducia del boss Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, è stata, racconta Raffaele Moscato, opera dei Piscopisani. Un omicidio realizzato per vendicare un “affronto” e anche per sottolineare la rivalità tra il gruppo di Piscopio e la cosca di Limbadi. «Ci sono stati dei disguidi con Michele Palumbo perché era un referente di Pantaleone Mancuso, Scarpuni, a Vibo Marina, il quale ha commesso un’estorsione per conto di Pantaleone Mancuso. I Piscopisani erano andati a fare un’estorsione da Maduli che oggi c’ha la Pubbliemme, all’epoca c’aveva il fotografo sul corso di Vibo Marina. Praticamente andammo a fare l’estorsione toccandoli all’inizio per la pubblicità perché i Piscopisani all’inizio insieme ad altre persone avevano della pubblicità e volevano lavorare con questa pubblicità. Questo Maduli era forte e sono andati là a minacciare nel senso che volevano prendere i lavori con lui. Comunque alla fine gli volevano fare un’estorsione. È intervenuto Michele Palumbo dicendo che Mimmo Maduli era sotto a lui e a Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni. E questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso perché i Piscopisani hanno deciso poi l’eliminazione di Michele Palumbo». «Ricordo un’estorsione a Maduli sotto Natale – prosegue il collaboratore – con delle minacce alla fine, perché all’epoca è stato chiamato Nicola Barba perché Nicola Barba si diceva che era un socio occulto di Maduli, era sempre vicino a Maduli (Nicola Barba è imputato nel processo “Rinascita” con l’accusa di usura aggravata dal metodo mafioso e nel processo “Rimpiazzo” con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso, ndr). È stato chiamato in una campagna sto Nicola Barba perché Maduli doveva pagare l’estorsione: 10 o 15mila euro, nel periodo di Natale 2011. Nicola Barba non so che cosa ha detto, se ha risposto male, comunque Francesco Scrugli gli ha dato due o tre schiaffi a Nicola Barba. Alla fine Nicola Barba ha chiesto i soldi a Maduli per pagare l’estorsione e Nicola Barba consegnò i soldi a Franco Barba, un ex costruttore agli arresti domiciliari nel 2011 e sono andato io a prendermeli personalmente i soldi per portarli a Piscopio».
Di conseguenza, chiediamo all’opinione pubblica ma soprattutto a Gratteri: come ha fatto il buon Maduli a ricevere appalti dalla pubblica amministrazione per tutti i suoi affari pubblicitari ed editoriali? Come ha fatto ad aver contributi dal Corecom per la televisione LaC, che somiglia sempre di più a quella tv privata della serie “La Piovra” immortalata dal grande Pino Colizzi? E come ha fatto soprattutto ad avere sempre il via libera dagli enti preposti circa il certificato antimafia se il suo socio è – come risulta dalle carte – un mafioso?
E non è ancora finita qui. Adesso che addirittura due pentiti (Moscato e Mantella) accusano Maduli di essere organico ai clan mafiosi del Vibonese, come si metterà il comune di Rende – tra l’altro sciolto per mafia – circa la prossima gara per le affissioni? E il comune di Paola? E quello di Castrolibero? E cosa succederà all’aeroporto di Lamezia? Ma soprattutto il nuovo direttore utile idiota, paladino della giustizia con la mafia dietro le spalle, come potrà continuare a prendere per il culo i calabresi facendogli credere che improvvisamente sono diventati detrattori dei loro ex sodali con i quali hanno “mangiato” per una vita? E basterà l’arrivo di due ex bastonatori del nano di Limbadi improvvisamente convertiti alla via del… denaro? (g. c.)