‘Ndrangheta in Emilia. Gli affari dei cutresi: 40 imputati sotto processo

Ci sono le presunte «teste di legno» utilizzate per coprire gli affari illeciti, ma anche le estorsioni agli imprenditori, le truffe ed i rapporti opachi con la politica. Sono alcune delle accuse che, a vario titolo, gravano sui 40 imputati del processo di secondo grado scaturito dall’operazione antimafia, “Grimilde”, che prenderà il via oggi. Si tratta dell’inchiesta del 2019 coordinata dalla Dda di Bologna, contro i vertici ed i fiancheggiatori del ramo emiliano della cosca Grande Aracri di Cutro. Davanti alla Corte d’Appello felsinea, dovranno comparire coloro che il 26 ottobre 2020, al termine del procedimento di rito abbreviato, erano stati condannati dal giudice per le udienze preliminari distrettuale. Le indagini, sulla scia di quanto venuto alla luce con l’inchiesta “Aemilia” del 2015, svelarono in che modo il clan cutrese fosse riuscito a dettare legge anche a Brescello, piccolo centro in provincia di Reggio Emilia. Infatti, nel comune raccontato dalla penna di Giovannino Guareschi, non a caso ribattezzato “Cutrello”, s’era manifestata tutta «la vocazione affaristica» della ‘ndrina emiliana autonoma, ma pur sempre legata alla casa madre di Cutro. La cosca, com’è emerso in primo grado, «in linea con le moderne strategie sociali della ‘ndrangheta, faceva in modo di accreditarsi a Brescello attraverso comportamenti apparentemente innocui, entrando illecitamente in punta di piedi nelle articolazioni economiche e sociali della città, cercando di scongiurare così reazioni di allarme sociale prefigurabili in presenza di episodi violenti e eclatanti».

Per gli inquirenti, la ‘ndrangheta attiva tra le province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza, aveva come punto di riferimento il 44enne Salvatore Grande Aracri, figlio di Francesco Grande Aracri (coinvolto nel processo ordinario “Grimilde”) e nipote del boss Nicolino Grande Aracri (che invece figura tra gli imputati dell’abbreviato). La cosca avrebbe praticato “l’usura e l’imposizione delle forniture avvalendosi della forza di intimidazione” attraverso il cosiddetto “recupero crediti” di natura sostanzialmente estorsiva, così accaparrandosi diverse attività imprenditoriali, solitamente intestate a compiacenti prestanome, in particolare nel settore dell’edilizia, dei trasporti e della ristorazione. Allo stesso modo, non sarebbero mancati gli intrecci tra la ‘ndrina e la politica. Fonte: Gazzetta del Sud