Nicola Acri alias “Occhi di ghiaccio” ha compiuto 42 anni lo scorso 14 aprile. E poco pià di un mese dopo si è pentito. La notizia è esplosa poche ore fa in tutto il suo fragore. Acri è considerato uno dei boss di ’ndrangheta più sanguinari in assoluto. Da quando di anni ne aveva 21 è il boss della ’ndrina di Rossano, iscritta al “locale” della Sibaritide con sede “legale” a Cassano Jonio. Era latitante da tre anni e inserito nell’elenco dei 100 più pericolosi d’Italia quando venne catturato, a Bologna, il 20 novembre del 2010.
Era in carcere da più di un decennio, dunque, e da allora era recluso in regime di 41-bis, il carcere duro, nel braccio di massima sicurezza del penitenziario di Cuneo, in Piemonte.
È stato condannato per associazione mafiosa e diversi altri reati, e all’ergastolo per svariati omicidi. Tra questi ultimi, però, soltanto per uno era arrivata la sentenza definitiva.
La cattura di “Occhi di ghiaccio” dopo la latitanza bolognese
L’OMICIDIO CHIARELLO
Si tratta dell’omicidio d’un giovane rapinatore di Cosenza, Primiano Chiarello, ucciso nelle campagne di Spezzano Albanese l’8 giugno del 1999. Il ragazzo si nascondeva nel vicino Comune di Cerchiara. I carabinieri gli davano la caccia per una rapina in una gioielleria di Rossano e lui s’era rifugiato da amici.
Prima degli “sbirri” arrivò però Nicola Acri, il quale andò a prenderlo e lo portò in una stalla di cavalli non molto distante dallo Scalo di Spezzano. E lì sarebbe stato ucciso a colpi di mitraglietta e poi fatto a pezzi. Il suo corpo fu fatto sparire, dapprima sotterrato e poi sciolto nella calce. Almeno questa è la leggenda urbana, adesso Acri potrà confermarla o meno in maniera diretta.
Per quell’omicidio s’è autoaccusato anche il collaboratore di giustizia di Cosenza Vincenzo Dedato, anch’egli condannato, a 14 anni di reclusione, unitamente a “Occhi di ghiaccio” e a Franco Abbruzzese alias “Dentuzzo”, il boss degli zingari di Cassano Jonio cui è stata inflitta la pena del carcere a vita come allo stesso Acri in qualità d’esecutore materiale del delitto, detenuto al 41-bis.
Nicola Acri e il boss degli zingari di Cassano Jonio Franco Abbruzzese “Dentuzzo”
Il pentito nei processi aveva confermato d’avere partecipato all’esecuzione di Chiarello riferendo particolari macabri. In uno stralcio d’intercettazione telefonica, lo stesso Dedato si compiace dei complimenti ricevuti da “Nicola” per la difficile operazione. In un’altra intercettazione telefonica si racconta di come spara, “Occhi di ghiaccio”: «Nicola Acri è impressionante, usa due pistole contemporaneamente».
Che qualcosa si stesse muovendo nella direzione di un pentimento e di una collaborazione con la giustizia da parte di Nicola Acri lo si era capito già da almeno un anno a questa parte. Attraverso i suoi avvocati Piera Farina ed Andrea Saccucci dei fori de L’Aquila e di Roma, “Occhi di ghiaccio” ha tentato, invano, di riuscire ad ottenere la revoca proprio del regime di carcere duro, negli anni sempre prorogato da parte dei vari ministri della Giustizia che si sono succeduti al governo. Il lungo e motivato reclamo era stato indirizzato al Tribunale di sorveglianza di Roma, che in materia di 41-bis rappresenta il foro esclusivo.
I giudici romani, con ordinanza del 14 febbraio 2020, l’hanno però altrettanto motivatamente rigettato: «Nicola Acri è soggetto di estrema pericolosità sociale» – hanno scritto – «in ragione della natura dei reati per i quali sta espiando la pena detentiva, delle informazioni ricavabili dai pareri espressi dalla Direzione distrettuale antimafia, dalla Direzione nazionale antimafia, dalle osservazioni degli organismi centrali delle forze dell’ordine, della posizione di vertice rivestita nell’ambito della cosca ‘ndranghetistica Acri-Morfò di Rossano, tuttora attiva ed operante nel territorio con collegamenti con le cosche di Cirò, Cassano Jonio e Corigliano Calabro, dei risultati del trattamento carcerario».
E al primo tentativo ha fatto seguito anche il secondo, attraverso un ricorso proprio contro la decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma, inoltrato dagli stessi legali di “Occhi di ghiaccio” ai supremi giudici della Corte di Cassazione.
E a decidere sono stati gli “ermellini” della Prima sezione penale il 26 febbraio scorso, poco meno di tre mesi fa, dunque. Nella sentenza è statuito che «il provvedimento impugnato ha ancorato il giudizio circa la persistenza del pericolo di persistenti collegamenti con la criminalità organizzata, alla lunga ed allarmante carriera criminale del ricorrente connotata da particolare ferocia dimostrata nell’accertata esecuzione personale di numerosi omicidi, tanto da averne giustificato l’avvenuto pregresso inserimento nell’elenco dei più pericolosi latitanti».
La prima e l’ultima foto segnaletica di “Occhi di ghiaccio”
I giudici della Cassazione, riprendendo la decisione del Tribunale di sorveglianza di Roma, sottolineano infatti il ruolo criminale di Acri come «di assoluto rilievo e di vertice, svolto nell’ambito dell’organizzazione ‘ndranghetistica omonima, insediata nel territorio di Rossano, ma operativa anche in contesti territoriali diversi grazie a patti di federazione con altre analoghe formazioni, come accertata in sentenze irrevocabili;
la perdurante operatività nel territorio d’influenza della stessa compagine, secondo quanto dimostrato da recenti investigazioni, che hanno riguardato anche un suo affine, tratto in arresto per fatti di traffico di stupefacenti, nonché altri sodali o soggetti collegati al consorzio criminale; la mancata emersione nelle più recenti operazioni di contrasto alla criminalità organizzata calabrese di un alleggerimento della sua posizione; la lunga latitanza del detenuto, tratto in arresto nella città di Bologna dopo oltre tre anni di ricerche;
la mancata emersione, grazie all’osservazione penitenziaria, di elementi sintomatici di dissociazione e di recupero ai valori della legalità e della descrizione della sua personalità da parte dell’equipe della casa circondariale presso la quale è ristretto come caratterizzata da “struttura psicologica e personale molto radicata e dura, solida, del tutto coerente con il profilo di leader mafioso, che emerge dalle sue vicende giudiziarie”».
Nella sentenza di rigetto del ricorso si faceva inoltre riferimento alla «vitalità attuale della stessa cosca», e all’«assenza di elementi indicativi, non soltanto della dissociazione o dello scioglimento della consorteria di stampo mafioso, ma anche di una qualche apertura dello stesso verso lo Stato o una qualche presa di distanza o rottura con il clan di cui Nicola Acri è elemento di primo piano, o comunque di una qualche riflessione critica rispetto ai gravi fatti commessi»,che «giustificano il giudizio prognostico circa la attuale e perdurante capacità di mantenere contatti con l’organizzazione ed i suoi partecipi, fra i quali la moglie ed altri sodali di recente scarcerati e tornati liberi».
A poco meno di tre mesi di distanza, tuttavia, qualcosa dev’essere cambiato se è vero – com’è vero – che Occhi di ghiaccio s’è clamorosamente pentito.