La notizia era stata diffusa all’inizio del mese di luglio dalla Gazzetta del Sud e l’operazione “Giardini Segreti” di oggi (26mila piante di marijuana sequestrate e un danno economico di oltre 20 milioni di euro) la conferma definitivamente. Si è pentito Emanuele Mancuso, 30 anni, esponente dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Limbadi, figlio del boss Pantaleone Mancuso, detto l’ingegnere, e nipote di esponenti di alto rango della cosca: dai fratelli del padre – Peppe (alias ‘Mbrogghia), uno dei capi storici, Diego (Mazzola), Salvatore e Rosaria (quest’ultima ritenuta la mandante dell’autobomba del 9 aprile scorso) – agli zii, tra i quali l’anziano boss Antonio Mancuso (del ’38), il capo storico Luigi Mancuso e i fratelli – i boss Michele e Giovanni – e il boss Pantaleone Mancuso (Scarpuni).
Insomma, un palmares di tutto rispetto negli ambienti criminali internazionali. Una genealogia pesante dalla quale, però, Emanuele Mancuso ha definitivamente preso le distanze, tanto da scoperchiare uno dei pentoloni degli affari del clan ovvero quello del narcotraffico.
E al di là di quella che sarà la portata delle sue dichiarazioni – a partire dall’operazione di oggi – a fare più rumore è il fatto che, nella famiglia Mancuso, nessuno finora si era mai pentito. Né capi, né luogotenenti e neppure soldati. In questo contesto, dunque, la decisione del 30enne, diventa di enorme portata. Dopo il pentimento di Raffaele Moscato e quello dell’ex boss emergente di Vibo Andrea Mantella, la collaborazione di Emanuele Mancuso è un altro asso nella manica della Dda, diretta dal procuratore Nicola Gratteri, la cui attenzione è puntata anche sul vibonese e sulle sue dinamiche criminali come diverse inchieste hanno dimostrato. Peccato che Gratteri non si decida a contrastare a dovere anche la corruzione e il cancro dei “colletti bianchi”.