E’ ancora alta l’eco in tutta Italia dell’operazione “‘Ndrangheta stragista”, portata a termine dalla procura antimafia e dalla DDA di Reggio Calabria, che ha svelato il patto tra mafia e ‘ndrangheta per attaccare lo stato tra il 1993 e il 1994.
A proposito di legami tra Reggio Calabria e Palermo, è il collaboratore Antonino Cuzzola a raccontare ai pm come il boss Domenico Paviglianiti, di ritorno da Archi nel 1990 “mi disse che era andato a Reggio Calabria a salutare i Tegano. Disse che rivelò, nella casa in questione, che c’erano tre dei Santapaola di Catania, tre di Cosa nostra di Palermo, gente di Riina e tutti i Tegano a discutere”.
Rapporti più che stretti, anche tra la cosca di Archi e Stano Bontade, riferiti dal pentito Giovanni Brusca: “I De Stefano erano legati a Cosa nostra. Ricordo anche che Riina si interessò in Calabria presso i suoi amici per far cessare gli attacchi sui cantieri della Lodigiani”.
Ma a parlare dei contatti tra mafia calabrese e siciliana è stato anche Gaspare Spatuzza, pentito dalla credibilità ormai acclarata da più di una procura. Così come del colloquio con Giuseppe Graviano quando, al bar Doney a Roma, disse che, grazie a Berlusconi e Dell’Utri “c’eravamo messi il paese nelle mani” e che, in riferimento all’obiettivo dello Stadio Olimpico dove fare l’attentato, poi fallito, Graviano disse: “Gli dobbiamo dare il colpo di grazia”. È ancora Spatuzza, al processo Gotha, che rivela come “Giuseppe Graviano mi spiegò che gli amici calabresi, in particolare il riferimento era alla cosca Molè-Piromalli, si sarebbero mossi su richiesta di Mariano Agate”, boss di Mazara del Vallo deceduto che “è certamente da considerarsi, così come mi spiegarono i fratelli Graviano, l’anello di congiunzione tra Cosa nostra e ‘Ndrangheta”.
Secondo Spatuzza, ancora, c’erano anche i calabresi a spingere per una trattativa tra stato e mafia. E in seguito, nel primo periodo della sua detenzione, il pentito riportò a Giuseppe Graviano (ugualmente detenuto) di alcune “lamentele che giravano in carcere” per opera “soprattutto di napoletani e di qualche calabrese” che “attribuivano a noi siciliani la responsabilità del 41bis… all’ala stragista”.
Graviano, dal canto suo, replicò che “E’ bene che parlassero con i loro padri che gli sanno dare tutte le indicazioni dovute”. Parlando di “padri”, il boss si riferiva ai “responsabili, i capifamiglia” che sia in Calabria che in Campania sarebbero stati parte attiva, “tutti partecipi a questo colpo di Stato”. Altrimenti, aggiunge Spatuzza, “non avrebbe senso per Giuseppe dirmi che ‘i calabresi si sono mossi’…”. Ora è stato proprio Graviano ad essere destinatario di un’ordinanza in qualità di mandante degli attentati ai Carabinieri, ricondotti dalle indagini ad un progetto ben più ampio rispetto alla singola organizzazione criminale. Proprio il boss di Brancaccio, recentemente intercettato, aveva detto al suo compagno di ora d’aria che “nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”, facendo intendere la presenza di altre componenti nel progetto stragista.
E solo lo scorso gennaio il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, aveva annunciato delle possibili svolte nelle indagini per gli episodi omicidiari contro i carabinieri, riconducendoli a “un piano di adesione a quello stragista su cui, come procura di Reggiom abbiamo lavorato”. Sette mesi dopo, il blitz che rivela i nomi dei mandanti e i legami a doppio filo tra Cosa nostra e ‘Ndrangheta.