Nessuna super bomba e Ali Shamkhan è vivo e vegeto: le verità della Cnn inchiodano Trump

(Vittorio DaRold – editorialedomani.it) – In un Iran che ha riaperto lo spazio aereo solo ai voli stranieri in transito per timore di raid israeliani, si sono svolti a Teheran i funerali di sessanta tra militari di alto rango e scienziati uccisi durante la guerra dei 12 giorni con Tel Aviv. Alla cerimonia, dove si gridava «Morte a Israele e all’America», non c’era la Guida suprema Ali Khamenei, sparita dai radar dopo aver dichiarato “vittoria”, ma c’era invece Ali Shamkhani, il suo consigliere dato per morto dal New York Times per ben due volte, troppo prematuramente.

Nonostante la sua baldanzosa retorica a uso interno, Khamenei è stato gravemente indebolito dalla breve guerra con Israele che aveva discusso apertamente della possibilità di assassinarlo e dal presidente Trump che aveva parlato di un cambio di regime. Khamenei sta guidando un «regime zombie», ha affermato lo storico Arash Azizi sulla rivista americana The Atlantic. Evitarel’escalation

«Ormai è finito». Ma è improbabile che capitoli completamente agli Stati Uniti, e cercherà invece «un equilibrio che può essere riassunto come nessuna guerra e nessuna pace», ha scritto lo studioso Vali Nasr sul New York Times. Un difficile equilibrio che passa dalla smentita di Trump in relazione alle indiscrezioni secondo cui gli Usa avrebbero preparato un piano da 30 miliardi di dollari per incentivare l’Iran a firmare un programma nucleare civile. Di certo c’è che l’Iran non permetterà più a Rafael Grossi, direttore Aiea, di visitare i suoi impianti nucleari, né permetterà l’installazione di telecamere di sorveglianza nelle strutture.

Il tutto mentre la Cnn afferma che l’esercito statunitense non ha utilizzato bombe anti bunker nel raid della scorsa settimana su Isfahan, uno dei più grandi siti nucleari iraniani, perché l’impianto è così profondo che gli ordigni non sarebbero stati efficaci. Lo avrebbe dichiarato il capo di stato maggiore Usa, il generale Dan Caine.

Per saperne di più bisognerà che la nebbia sugli eventi si diradi. Per ora la Casa Bianca ha accusato il regime di mentire sull’esito della “guerra dei 12 giorni”, e il ministro degli Esteri di Teheran, Abbas Araghchi, ha risposto che i «toni sono inaccettabili».

La partita dei dazi

Sui dazi Donald Trump ha avvertito l’Ue, in vista della fine della moratoria valida fino al 9 luglio, invitandola a «non essere stupida». Nel mezzo delle trattative è arrivata la minaccia tipica del tycoon: «Con la digital tax l’Ue non ne uscirà bene, come sta avvenendo al Canada».

In particolare Trump, appena incassato l’aumento al 5% delle spese nella Nato, ha minacciato di anticipare la scadenza del 9 luglio e ha avvertito che «l’Ue imparerà a non essere cattiva con noi». Il presidente Usa ha affermato che sulla scadenza della moratoria si vuole tenere le mani libere: «Potremmo estenderla, potremmo accorciarla». All’interno dell’Ue ci sono Italia e Germania (paesi esportatori) che spingono per un accordo in tempi rapidi e sono pronte ad accettare un dazio minimo del 10%, mentre la Francia di Emmanuel Macron insiste sulla reciprocità e non vuole dazi neppure sul cognac.

A sorpresa con effetto immediato è giunto l’alt alle discussioni commerciali con il Canada del premier Mark Carney, reo di aver approvato un anno or sono una legge sulla tassazione del web ritenuta dalla Casa Bianca vessatoria per i giganti della Silicon Valley, allergici alle tasse e alle regole. Sulla Cina il presidente ha affermato di aver raggiunto un’intesa.

A pochi giorni dalla scadenza del 9 luglio fissata da Trump per definire un accordo commerciale con Pechino, il governo ha però ribadito che non accetterà intese che vadano contro i propri interessi.

«La Cina si opporrà fermamente a qualsiasi accordo raggiunto a spese dei suoi legittimi diritti», ha dichiarato un portavoce del ministero del Commercio, sottolineando che eventuali concessioni imposte per ottenere una riduzione dei dazi non saranno mai accettate.

La Cina e il Canada

La posizione di Pechino sembra essersi irrigidita nelle ultime ore, dopo che nei giorni scorsi lo stesso ministero aveva confermato i dettagli del quadro negoziale raggiunto a inizio giugno a Londra, che prevedeva un’accelerazione da parte cinese nelle autorizzazioni all’export di “prodotti controllati” e, in cambio, la rimozione di alcune misure restrittive statunitensi.

Pechino avverte che ogni passo avanti dovrà basarsi sul principio di equità e rispetto reciproco. Non esattamente un buon viatico. Senza contare che il Canada ha fatto sapere di un accordo raggiunto al G7 sulla tassazione globale delle multinazionali, con una vistosa esenzione per le compagnie statunitensi, fatto che rappresenta una nuova vittoria per Trump. La svolta rischia di stravolgere la “global minimum tax” su cui era stato raggiunto un accordo storico nel 2021 e che puntava a porre fine alle pratiche di elusione fiscale delle multinazionali: in particolare le Big Tech statunitensi.

La svolta esenta le compagnie americane da alcune parti del nuovo regime fiscale, in ragione delle tasse che già pagano negli Usa.