Nino Di Matteo: “Gettano la maschera: continuità con Gelli, Berlusconi e Cartabia”

(DI GIUSEPPE PIPITONE – ilfattoquotidiano.it) – Dottor Di Matteo, ha letto le dichiarazioni del ministro Crosetto e del capogruppo della Lega Molinari?

Sì e non sono sorpreso. Finalmente alcuni esponenti della maggioranza hanno gettato la maschera e parlano espressamente di controllo dell’esecutivo sui pm.

Però al congresso dell’Anm il ministro Nordio ha assicurato che l’indipendenza della magistratura non è negoziabile.

Mi sembrano parole vuote: con i fatti porta avanti un progetto opposto. Occorre una visione d’insieme per capire quale è il rischio che sta correndo la nostra democrazia.

A cosa si riferisce?

La riforma Cartabia e quelle del governo Meloni vanno nella stessa direzione. Ed è quella indicata dal primo governo Berlusconi, che a sua volta ha molti punti di contatto con il Piano di Rinascita democratica di Licio Gelli. Si punta a creare un sistema Giustizia improntato al doppio binario: un diritto penale minimo per i privilegiati e uno massimo per gli altri. Una giustizia classista con uno scudo per il potere.

In che modo si starebbe creando questo sistema?

Da una parte limitando l’incisività delle indagini sui reati tipici dei colletti bianchi. Dall’altra nascondendo fatti rilevanti, grazie a un bavaglio sempre più stretto all’informazione e ai pm.

A proposito di colletti bianchi: questa settimana in Parlamento sarà votato un odg che chiede di eliminare l’uso del trojan per i reati contro la Pa. Lei che ne pensa?

Che così s’indebolisce la lotta alla mafia.

Mai come in questi anni abbiamo capito che mafia e sistema corruttivo sono due facce della stessa medaglia. Invece di sparare, da almeno due decenni le mafie preferiscono corrompere, condizionare le attività delle pubbliche amministrazioni. Quindi spuntare le armi dei pm nella lotta alla corruzione vuol dire indebolire la lotta alla mafia. Chiunque abbia un minimo di esperienza e di onestà intellettuale lo sa. Stiamo vivendo un momento triste.

Cosa intende?

Quando un’inchiesta su politica e criminalità accerta fatti rilevanti, si parla sempre di giustizia a orologeria. Oppure si chiede di aspettare il terzo grado di giudizio. Ma ci sono condotte che dovrebbero subito far scattare l’allontanamento dalla vita politica del soggetto coinvolto. Anche se penalmente non rilevanti. E invece oggi molti personaggi che hanno avuto consapevoli rapporti con la mafia continuano a essere protagonisti della vita pubblica.

A chi si riferisce? A Cuffaro?

Potrei fare almeno una decina di nomi. I rapporti tra parte della classe dirigente e i mafiosi sono molto diffusi. Ma per combattere una situazione simile occorre una magistratura credibile, che abbandoni ogni forma di collateralismo alla politica.

Quindi ha ragione Crosetto, la magistratura è politicizzata?

I magistrati politicizzati non sono quelli che fanno le indagini, ma quelli che su certe inchieste hanno preferito seguire criteri di opportunità politica. Ma è sui primi che una parte del potere ha scatenato una sorta di progetto di vendetta.

Cioè?

Dopo il cosiddetto scandalo Palamara è partito un progetto di rivalsa nei confronti della magistratura, che covava in gran parte della politica, sin dai tempi di Tangentopoli, delle grandi inchieste su mafia e politica dopo le stragi. L’obiettivo è prevenire che in futuro si possano ripetere inchieste simili.

Lei non ha partecipato al congresso dell’Anm, come mai?

Ritengo che la magistratura associata non abbia reagito adeguatamente alla riforma Cartabia. Pur rispettando i colleghi dell’Anm, a partire dal presidente Santalucia, credo sarebbe un errore continuare su questa linea di dialogo. Molti magistrati pretendono posizioni più forti su temi come l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, la separazione delle carriere, l’introduzione dei test psicoattitudinali.

Che intende con posizioni più forti?

Proteste più evidenti, come lo sciopero. Non dobbiamo avere paura di denunciare quello che sta accadendo: abbiamo giurato sulla Costituzione e abbiamo il dovere di parlare. Anche per un debito di memoria di tanti uomini dello Stato caduti per applicare i principi della Carta.