«Vogliamo fermarci, guardarci negli occhi e chiederci: come smontare l’idea di sviluppo che ci viene imposta? Come opporci alla città cantiere che si profila all’orizzonte? Come tessere insieme un’alternativa che non sia solo difesa, ma possibilità di futuro?». Comitati e associazioni, ma anche singoli cittadini, dell’Assemblea No Ponte, hanno cercato di rispondere a queste domande, durante la “due giorni” di riflessioni, dibattiti, momenti di condivisione e spettacoli, conclusasi ieri sera al Forte San Jachiddu.
Le “ali” del movimento sono diverse e variegate, le strategie future di lotta e di mobilitazione non sono ancora definite, si attendono gli sviluppi delle procedure. Sicuramente c’è chi già ha annunciato di voler impedire, anche con il proprio corpo, l’apertura dei cantieri di un’opera giudicata «inutile e devastante».
«I territori – è stato detto durante i tavoli di discussione – non sono pagine bianche su cui imprimere decisioni dall’alto. Sono spazi vissuti, intrecci di relazioni, memorie, possibilità. Per questo abbiamo chiamato singoli, collettivi, associazioni, realtà organizzate e movimenti, dallo Stretto e oltre, a unirsi in questo “laboratorio” di confronto, intreccio di voci e resistenze, per radicare le nostre lotte in visioni collettive. Sappiamo che il Ponte non è un caso isolato, ma parte di un modello che si ripete ovunque: dalla Tav alle devastazioni ambientali in nome della transizione energetica, fino alle speculazioni legate alle grandi infrastrutture inutili e dannose».