Noi che… facciamo parte di una generazione sfortunata

Noi che… abbiamo erroneamente imparato ad associare la parola lavoro a quella utopia.

Noi che… siamo capaci di indignarci versando litri di inchiostro sui social per “giuste cause” da empatici occidentalisti, ma dimentichiamo che questi post spesso li scriviamo nel bel mezzo della mattinata, mentre poltriamo in pigiama, annebbiando l’indignazione personale per le “nostre giuste cause” e per i nostri diritti.

Noi che… si diciamolo, siamo la generazione dell’Italia in pigiama e continuiamo ad intenderlo come se fosse una divisa!
Noi che… siamo stanchi di pensare al futuro, non tanto perché ci appare come un traguardo lontano, ma piuttosto irraggiungibile.
Noi che…. aggiorniamo costantemente su Linkedin i nostri contatti e le collaborazioni non remunerate!

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Noi che… scriviamo gratis per le testate giornalistiche, o che lo abbiamo fatto con l’unico scopo di sperare di diventare “giornalisti pubblicisti”, arrivando a versarci i contributi da soli, ma siamo sempre costantemente alla ricerca di una testata seria che non ci faccia perdere solo tempo, sogni e fatica!

Noi che… nonostante e comunque cerchiamo e troviamo l’entusiasmo per consegnare un articolo “in bozze” ogni settimana. Ma la prima volta che non lo facciamo la redazione è lì pronta a sottolinearlo, tentando quasi di colpevolizzarci per una mancanza che in realtà potevamo permetterci a testa alta perché non riceviamo alcun compenso!

Noi che… siamo entrati in maniera psicotica nel meccanismo del “almeno fa curriculum”!
Noi che… spesso siamo multitasking, plurisettoriali ma in concreto e con noi stessi abbiamo (a volte) il coraggio di ammettere che non sappiamo neppure noi in quale direzione ci stiamo dirigendo, quali siano le nostre prerogative, le nostre competenze concretamente utili alla società nonché fondamentali alla crescita della nostra autostima!

Noi che… siamo sempre in attesa di fondi che dovevano arrivare lo scorso anno per finanziare dei progetti presso enti pubblici o associazioni; ma ci siamo abituati all’idea che “tanto si sa, prima passano dalla Regione, poi arrivano alla Provincia e quindi si spera poi ai singoli Comuni”. Il problema è che spesso i progetti sono stati già avviati e noi in teoria e in pratica ci rechiamo a lavoro ogni giorno, e ci siamo abituati all’idea di dover accettare questa condizione, perché siamo entrati nell’ottica che “loro” in un certo senso ci stiano facendo un “favore”!

Noi che… dopo tante congetture, ghiribizzi notturni ed indignazioni rassegnate, arriviamo addirittura a giustificare la nostra posizione di lavoratori “non pagati”, (cercando di non pensare che qualche generazione fa si parlava di quelli “mal pagati” che facevano l’autunno caldo e si battevano per i propri diritti), elogiandoci quasi a “paladini eroici” del volontariato!

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Noi che… dopo aver incorniciato le nostre pergamene di laurea, nei lunedì neri, andiamo a spulciare tutte le offerte di lavoro pubblicate su Subito.it e spesso facciamo un pensierino concreto su: cercasi agenti porta a porta, operatori call center, commesso/a, banconista etc etc, perché si presuppone che forse, almeno qualche soldo in tasca così riusciremmo ad insaccarlo!

Noi che… ci siamo dovuti abituare forzatamente al fatto che le bustarelle dei nonni, zii e genitori a Natale, compleanni e altre ricorrenze, rappresentino un “terno a lotto”, un sospiro di sollievo che ci permette di mettere da parte qualcosa per le “evenienze”.
Noi che… guidiamo la macchina di mamma o quella di papà e facciamo benzina con i soldi di mamma e papà.
Noi che… a trent’anni senza la paghetta settimanale, non potremmo permetterci neppure mezza uscita settimanale.
Noi che… “a trent’anni abbiamo ancora la paghetta settimanale”
Noi che… siamo nati e cresciuti nel benessere. Nell’ottica del proseguimento degli studi universitari non come un surplus meritevole e proiettato nell’ottica di uno “salto sociale” perché già quel benessere lo conoscevamo.
Da anni siamo bombardati da notizie negative sull’aumento della disoccupazione giovanile e l’impatto mediatico ci ha portato ad anestetizzarci, ad intorpidirci, quasi ad “ibernarci” in un nichilismo che non riguarda l’aldilà, ma la nostra ipotetica quotidianità!

Noi che… siamo quelli del “oggi non mi va di pensarci, poi domani si vedrà” ubriacandoci momentaneamente nella frase di routine che spesso ci ripetiamo, e che spesso ci sottolineano come ritornello di conforto: “Tanto non è un problema solo tuo! Siete una generazione sfortunata, una soluzione si troverà”! Laica preghiera vuota di contenuto e di aspettative!

Noi che… generalizziamo per cercare un contatto empatico con chi, (tra mille lavoretti, progetti e collaborazioni non remunerate) occupa come unico posto fisso sicuro, quello del divano di casa propria!
Noi che… non siamo più capaci di indignarci, incazzarci, batterci, gridare, esplodere, roderci il fegato dalla rabbia per “pretendere una soluzione”!
Noi che…

Alessandra Pappaterra