Omicidi di stato: “Federico”, gli occhi che raccontano il caso Aldrovandi

C’è un filo rosso che collega COSENZA e FERRARA e le storie di due ragazzi, DENIS e FEDERICO, uccisi entrambi dallo stato deviato in divisa. Oggi quei due ragazzi hanno un angelo custode che sta facendo luce sul loro sacrificio e sta mettendo a dura prova i poteri forti di questo paese. Si chiama Fabio Anselmo ed è un avvocato.

di Cecilia Gallotta

Fonte: Estense.com

FERRARA – Un nome, e uno sguardo che penetra la copertina bianca. L’avvocato Fabio Anselmo ha deciso di raccontare la storia di Federico – con cui ha titolato il suo libro esordio – in un modo diverso da quello che per l’opinione pubblica è meglio noto come ‘caso Aldrovandi’. Il caso diventato emblema da quel 25 settembre 2005 in cui perse la vita, che non ha smesso di far discutere, riflettere, mettere in dubbio. E che ha ispirato artisti, “o giornalisti a fare film”, introduce Filippo Vendemmiati, autore del documentario sul caso e vincitore del David di Donatello, che accanto a sé presenta il celebre attore bolognese Alessandro Bergonzoni.

Fra i volti della gremita sala di Palazzo San Crispino, non mancano esponenti politici locali – Vittorio Ferraresi e Marcella Zappaterra – ma anche avvocati, artisti, madri, amici, e parenti che hanno vissuto dolori analoghi. Fra cui i figli di Valerio Verri, vittima del killer serbo Norbert Feher, alias Igor il russo, la sorella di Denis Bergamini, e quella di Stefano Cucchi, Ilaria, che adesso accompagna l’avvocato Anselmo.

Patrizia Moretti, mamma di Federico, arriva in sala con un inaspettato sorriso che irradia la prime file, dove siede anche il padre di Federico, Lino. E che lascia il posto a qualche lacrima. “Costa sempre fatica riapprofondire. Ogni giorno cerco di trovare sempre più una via per andare avanti. Ma tutto quello che fate, dai film, ai libri, a qualsiasi singolo pensiero che è stato formulato su Federico, è espressione di affetto, e di una collettività che può fare del bene. A fare del male ci vuole un attimo, mentre il bene si costruisce giorno per giorno. Vorrei che Federico arrivasse, in questo senso, ad essere un patrimonio per tutti”.

Quel che non cambierà mai, secondo l’avvocato, che accanto alla famiglia Aldrovandi ha passato 13 lunghi ed intensi anni, “è che Federico aveva appena compiuto 18 anni, era incensurato e disarmato, e qualsiasi torto abbia potuto avere, l’ha pagata troppo cara. E l’ha fatto per mano di chi avrebbe dovuto tutelarlo”. Una constatazione che porta alla paura, espressa da Bergonzoni, “verso chi detiene il potere e lo esercita per legittimare qualsiasi atto, dall’imposizione della società a parlare in un certo modo, alla scelta di cosa è meglio dire o non dire, fino, in extremis, alla vita delle persone”.

Un ritratto quasi grottesco che si esemplifica nell’episodio che ha visto l’avvocato Anselmo, dopo anni di denunce e processi, indagato per vilipendio di cadavere, dopo aver preso la torturata decisione, assieme alla famiglia della vittima, di pubblicare le foto del cadavere di Federico. Una “controcomunicazione”, la definisce lo stesso Anselmo – che ricorda come la causa della morte in quei mesi sia cambiata diverse volte – “che si rafforza trovando nella società una cultura che legittima l’omertà”.

Quella stessa società, e quella stessa cultura, che ha influito sulla “carenza d’indagine dei primi mesi, causa dei coni d’ombra che tuttora si hanno sulla vicenda”. E per la quale la mamma di Federico auspica dalla tragedia del figlio un insegnamento. Sperando che “un giorno, il vicino di casa che vede una cosa del genere, inizi con l’uscire dalla porta”.