Omicidio Bergamini, 35^ udienza. La trascrizione della prima delirante intervista del procuratore Abbate

Ieri, nel corso della 35^ udienza del processo per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini, la Corte ha acquisito la trascrizione della prima intervista rilasciata alla Rai regionale dal procuratore di Castrovillari Ottavio Abbate, il magistrato che ha insabbiato l’omicidio del calciatore. La trascrizione è stata fornita dal giornalista cosentino Giuseppe Milicchio ed è il vero e proprio delirio di un uomo che invece di rappresentare degnamente lo stato, ha fatto di tutto per proteggere gli assassini e depistare le indagini. Di seguito, le parti salienti della trascrizione.

E’ stata fatta l’autopsia sul cadavere del ragazzo?

“L’autopsia non è stata fatta perché la causa della morte era assolutamente chiara, praticamente non c’erano problemi da risolvere relativamente al punto, alla determinazione della causa del decesso che era certamente dovuto a uno schiacciamento notevolissimo della parte inferiore del corpo per il passaggio di un mezzo pesante…”.

Abbiamo saputo anche, guardando le immagini del posto, che il ragazzo è stato ucciso sul ciglio della strada, a una ottantina di metri dalla piazzola dove aveva lasciato la macchina…

“No, no. Il ragazzo è stato trascinato per 40-45 metri, cioè praticamente, stando alla prima ricostruzione del fatto, questo povero giovane stava appoggiato alla macchina sul ciglio della strada. Nel momento in cui è sopraggiunto questo mezzo pesante lui, in modo assolutamente repentino, si sarebbe buttato sotto le ruote…”.

Questo secondo le dichiarazioni della ragazza e dell’autista?

“Esatto, secondo le due dichiarazioni concordi”.

Quindi lui è stato trovato 40 metri più in avanti rispetto alla macchina?

“Sì. Più avanti. Perché l’autista, che aveva il camion carico, è riuscito ad arrestare il mezzo soltanto quaranta metri dopo l’impatto…”.

Ma non si aspettava, l’autista, un fatto del genere?

“Non era assolutamente prevedibile, perché lui si è accorto che c’era sta macchina sul ciglio destro della strada…”.

Siete riusciti a capire, anche in virtù delle testimonianze raccolte, le ragioni di questo gesto disperato?

“Guardi, questa è una domanda che ci stiamo ponendo, pure noi siamo tanto interessati sul piano… bisogna fare luce su tutto, però almeno allo stato attuale non sembrano sussistere dubbi. Resta il fatto che questo ragazzo si sia voluto suicidare. Il problema delle motivazioni: questa è una cosa di cui ci stiamo interessando perché è nostro dovere capire se c’è una induzione al suicidio. Il suicidio non è reato ma se ci fosse un’induzione al suicidio può diventare reato. E quindi prima di chiudere l’indagine dobbiamo fare degli accertamenti di specifica: io intendo sentire la ragazza quanto prima e verificare alcune piccole contraddizioni (!!!) che mi sembra che ci siano perché probabilmente sono dovute alla fretta di raccogliere i primi elementi…”.

Ma anche pensando a queste cose che lei ha detto, non era per caso auspicabile un esame autoptico, anche per le condizioni del ragazzo: chissà, se fosse stato imbottito di droga? Non poteva essere questa una ragione per indurlo al suicidio?

“Ma guardi, l’autopsia in questi casi ha pochissimo rilievo ai fini dell’indagine penale nel senso che se anche ipoteticamente il ragazzo fosse stato non “corpus sui” per ingestione di sostanze chimiche o roba di questo tipo, dal punto di vista strettamente legale non ci sarebbe stato comunque interesse rispetto al fatto che la determinazione di suicidarsi è stata autonoma. In sostanza, questo avrebbe potuto avere un interesse cronistico, ma non un interesse penalistico. Per cui abbiamo ritenuto che, insomma, l’autopsia generalmente si fa quando le cause della morte sono dubbie o quando bisogna fare chiarezza attorno a delle perplessità che sorgono dalla rilevazione di segni sul cadavere e via discorrendo. Ora, in questo senso, non c’era nessuna problematica da risolvere (!!!) per quanto riguarda almeno l’aspetto penalistico. Per quanto riguarda in poi l’aspetto in se e per se considerato dalla spiegazione da dare a un fatto apparentemente inspiegabile, questa è una questione che può avere rilievo per noi solo se ipoteticamente finalizzata alla ricerca o alla esclusione di una possibile induzione al suicidio. Solo in questo senso. Per cui, voglio dire, noi abbiamo fatto guardare le braccia per vedere se questo ragazzo aveva segni di punture, le solite cose che si fanno quando si vede un cadavere, ma non c’erano e non ci sono problemi. Tra l’altro, questo ragazzo e la sua fidanzata erano stati fermati poco prima – circa mezzoretta, tre quarti d’ora – e controllati dai carabinieri… C’era stata una rapina, i carabinieri avevano fatto dei posti di blocco e avevano fermato anche la Maserati. E quindi non c’erano apparenti problemi da verificare. Certo, questo fatto, anche il comportamento tenuto, depongono probabilmente per un trauma improvviso di natura psicologica…”.

Lei personalmente si è fatto questa idea?

“Sì, ci dev’essere stato un qualcosa…”.

Una causa scatenante che lo ha indotto a quella tragica decisione?

“Secondo me era un fatto pure di natura esistenziale… ‘Sto ragazzo, almeno dalle voci che io ho raccolto (!!!), era abbastanza solitario, molto sensibile, abbastanza chiuso, taciturno, per cui probabilmente questa sorta di depressione interiore (!!!), perché poi insomma andare a sceverare nell’animo umano è sempre una cosa estremamente difficile ed ogni valutazione può essere fallace…”.

Ma questa paura inconscia di voler scappare chissà dove, lontano da chi e da che cosa, abbandonando tutto e tutti, affetti, sentimenti, famiglia… 

“Ma poi bisogna vedere se voleva scappare realmente… Guardi, se uno vuole scappare, davvero scappare perché deve allontanarsi da qualcosa che costituisce una fonte di pericolo… Questo ragazzo aveva una macchina potentissima, non è spiegabile sul piano proprio della metodologia che a un certo punto dice: “io me ne voglio andare, devo andare a Taranto per imbarcarmi, devo andare in Grecia, ergo tu prendi la macchina, torna a Cosenza che io faccio l’autostop…”. Uno prende la macchina e va ad imbarcarsi, dunque dove vuole! Questo comportamento deporrebbe più per una improvvisa difficoltà esistenziale, che ha scatenato qualche meccanismo mentale inspiegabile che non per qualcosa, per un mistero insoluto, anche perché ‘sto ragazzo aveva 27 anni, non era mai stato implicato in storie di nessun genere, aveva una vita abbastanza tranquilla e serena, gli amici sapevano sempre dove trovarlo, non aveva misteri. Quindi, insomma, non ci sono i presupposti per ritenere altro…”.