Omicidio Bergamini, ecco perché anche il pavido Giacomantonio aveva (e ha) paura della verità

Circa un anno fa (a dicembre 2022) l’agenzia Ansa ha trasmesso una notizia riguardante l’omicidio di Denis Bergamini, traendo spunto – circostanza decisamente singolare – da una sentenza della Cassazione per un processo per diffamazione che aveva visto protagonisti il giornalista cosentino Gabriele Carchidi e l’ex procuratore di Castrovillari Franco Giacomantonio. Pomo della discordia la clamorosa archiviazione del caso Bergamini del 2015, che fu successivamente sconfessata dal procuratore Facciolla, che ha riaperto le indagini e ottenuto il processo in corso di svolgimento in Corte d’Assise a Cosenza e che vede alla sbarra con l’accusa di concorso in omicidio volontario pluriaggravato l’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò. 

Ma ecco il lancio dell’agenzia Ansa.

Ci sono «numerose ombre» che “avvolgono la tragica fine di Denis Bergamini”, scrive la Cassazione in un verdetto sul cold case della morte nel 1989 del centrocampista del Cosenza – è in corso il processo di primo grado alla ex fidanzata del calciatore, Isabella Internò, accusata di omicidio volontario – ma i supremi giudici rilevano che la richiesta di archiviazione del caso, fatto passare per suicidio, avanzata nel 2015 dal Pg Franco Giacomantonio che guidava la Procura di Castrovillari, «non fu una decisione superficiale o, peggio, deviata da una qualche parzialità» ma aveva «ampie ragioni», considerando anche il tempo passato.

Ad avviso degli “ermellini” – che si sono occupati della vicenda Bergamini nell’ambito di un processo per diffamazione nei confronti di un cronista che ha definito il pg Giacomantonio «pavido» e «incapace di indagare seriamente” sulla morte del calciatore -, invece «pur prendendo atto che la tragica vicenda ha avuto dinamiche di accertamento plurime, a volte confuse e comunque non è ancora definitivamente chiarita», non «può esservi dubbio» sul fatto che il pg abbia subito “attacchi alla sua reputazione» in quanto «tacciato» di aver operato «in favore di Isabella Internò, vale a dire colei» la quale «sin dalle fasi iniziali della vicenda investigativa successiva alla morte di Denis Bergamini, era stata ritenuta implicata nei fatti da chi non ha creduto mai alla tesi del suicidio». In particolare, la Cassazione ricorda che «fu proprio il procuratore Giacomantonio, nel 2011, a richiedere al Gip, una prima volta la riapertura delle indagini ed a svolgere, successivamente, una diffusa ed articolata istruttoria, servendosi di numerosi consulenti tecnici e svolgendo molte audizioni di persone informate dei fatti, in vista di un evidente obiettivo di fare luce sul controverso “caso giudiziario”».

«La stessa richiesta di archiviazione – notano i supremi giudici – è formulata con ampie ragioni (che si snodano lungo 73 pagine di provvedimento), dando conto di tutte quante le indagini effettuate: dunque non una decisione superficiale, o peggio, deviata da una qualche parzialità». «Infine – aggiunge il verdetto 44384 della Suprema Corte – non è fuori contesto evidenziare come la vicenda sia datata, e così le indagini iniziali, trent’anni prima dell’insediamento del magistrato alla guida della Procura di Castrovillari».

Fin qui l’agenzia Ansa, che – lo ribadiamo – in maniera decisamente strana e singolare si mette al servizio di qualcuno al quale evidentemente interessa far circolare questa notizia senza particolare interesse (se non per il magistrato in questione e i suoi accoliti), dal momento che risale addirittura a fatti vecchi del 2015.

E’ appena il caso di ricordare, dunque, che successivamente la Cassazione, alla luce dei fatti nuovi portati alla luce prima dall’avvocato Fabio Anselmo e poi dal procuratore Eugenio Facciolla attraverso la riesumazione del cadavere di Bergamini e nuove perizie, ha considerato giusta la riapertura delle indagini e non tiene conto di tutto quanto emerso nel processo perché non ha atti e non deve averli, considerato che c’è un procedimento tuttora in corso.

Dunque, oggi tutto quello che era stato ipotizzato in quell’inchiesta giornalistica del 2015 si può dire, eccome se si può dire e anche scrivere. Quanto invece alla “riesumazione” del vecchio processo per diffamazione da parte dell’agenzia Ansa, è chiarissimo che l’ha fatto dietro mandato di qualcuno a cui non è neanche difficile togliere la maschera. 

Ma perché l’agenzia Ansa e i suoi suggeritori hanno tirato fuori questa sentenza proprio adesso? Beh, non serve uno scienziato per capire che si tratta di una risposta ad un post molto incisivo pubblicato solo qualche ora prima dal legale della famiglia Bergamini, Fabio Anselmo e riguardante un altro ex procuratore di Castrovillari, Ottavio Abbate (https://www.iacchite.blog/lomicidio-bergamini-e-la-carriera-del-procuratore-abbate-di-fabio-anselmo/).
Probabilmente i suggeritori di quella che dovrebbe essere un’agenzia imparziale e invece si presta a “tarantelle” di bassa lega, avrebbero voluto tirare fuori questa sentenza a sorpresa ma così gli è andata decisamente male. Non solo: questo clamoroso autogol ci dà anche la possibilità di ripubblicare l’articolo che avrebbe leso in maniera così irreparabile la reputazione del pavido magistrato cosentino, ormai (o forse sarebbe meglio dire per fortuna) in pensione, Franco Giacomantonio.

OMOCIDIO BERGAMINI, ECCO CHI HA PAURA DELLA VERITA’ 

Sono passati quasi otto anni da quel 23 febbraio 2015 quando il pavido e oscuro, ormai ex procuratore della Repubblica di Castrovillari, Franco Giacomantonio, si era messo in prima linea facendoci anche vedere la sua faccia di bronzo. Doveva per forza agire cosi davanti all’assedio mediatico nella sua cittadella, nel suo muro di gomma creato appositamente per insabbiare i processi delicati. Quelli che coinvolgono i pezzi deviati dello stato. Dall’omicidio Bergamini all’omicidio del magistrato Bisceglia. Tanto per citare soltanto i due casi-limite.

Eugenio Facciolla
Eugenio Facciolla

Da Castrovillari, tuttavia, appena andato in pensione il pavido Giacomantonio, il nuovo procuratore Eugenio Facciolla ha fatto le cose seriamente per risalire finalmente alla verità sugli assassini di Denis Bergamini. E abbiamo avuto la prova che non è come Giacomantonio. Oscuro burocrate (ahinoi cosentino) al servizio dei potenti e dello stato deviato.

Facciolla è un magistrato serio: ha fatto guerra ai magistrati corrotti, ha fatto emergere molto del marcio che c’è nella giustizia cosentina ed è stato tra i pochi a perseguire seriamente corruzione, malaffare e delinquenti. Ma ha pagato un prezzo molto alto. Poi, probabilmente, è stato “assorbito” da quel sistema che prima lo respingeva ma è stato l’unico a darsi da fare per arrivare alla verità (quella, tra l’altro, che tutti conosciamo) sull’omicidio di Denis Bergamini. E infatti sta pagando ancora: indagato per corruzione e addirittura trasferito dal Csm anche per questa vicenda!Del resto, non era davvero possibile lasciare in piedi la montagna di fandonie costruita ad arte prima dal complice e connivente Ottavio Abbate e dalla sua procura in mano al clan Cirillo e agli altri che si sono impossessati del territorio e poi dal pavido Giacomantonio, tutto proteso a proteggere i “pezzi da novanta” che temono di essere smascherati dopo aver ucciso il nostro Campione.

Per Giacomantonio non sono bastate tre perizie di medici legali di assoluto valore (Avato, Testi e Bolino) nè tantomeno l’evidenza e la logica della perizia dei carabinieri del Ris, che lunedì scorso hanno testimoniato al processo: per lui – il pavido Giacomantonio – Bergamini si è suicidato e non ci sono prove che reggano. Eppure era stato proprio lui a riaprire il caso nel 2011 sottolineando tutti i madornali errori delle indagini dell’epoca. Così com’era stato ancora lui, nell’aprile del 2012, a dichiarare testualmente che “Bergamini non è morto tuffandosi sotto un camion”. Ed era stato sempre lui, nel 2013 (a meno che non abbia un sosia oppure, ipotesi più probabile, uno sdoppiamento della personalità) a indagare per concorso in omicidio volontario Isabella Internò ovvero colei che continua a sostenere, senza vergognarsi, che Denis si è suicidato.

Quel 23 febbraio 2015, in maniera del tutto irrituale rispetto alle pratiche consuete della giustizia italiana, Giacomantonio (cioè un procuratore della Repubblica) era addirittura presente nell’aula del tribunale in una udienza nella quale si discuteva una richiesta di archiviazione, per dare manforte alle sue “ragazze” (il gip e il pm). Temeva la vis oratoria dei legali della famiglia Bergamini, Fabio Anselmo ed Eugenio Gallerani.

Fabio Anselmo

LE PROVE DI ANSELMO

Fabio Anselmo, sia nelle pause dell’udienza che alla fine del braccio di ferro con quell’omino piccolo piccolo, gli ha assestato una serie di fendenti che devono aver fiaccato il suo precario equilibrismo a favore delle assurde tesi della “mantide” di Surdo.

Anselmo, in particolare, ha offerto alla procura di Castrovillari l’opportunità di dimostrare che al suo interno ci sono magistrati seri e credibili. Andato via Giacomantonio, insomma, la partita si è riaperta. Eccome se si è riaperta.

“Abbiamo richiesto – affermò all’epoca il legale – una serie di indagini immuno-isto-chimiche suo preparati in formalina dei resti di Denis Bergamini. Si tratta di esami che possono datare le lesioni subite ed accertare senza possibilità di errore se i tessuti erano vitali quando il camion ha sormontato lentamente e parzialmente il corpo di Bergamini. Ma anche una Tac tridimensionale, da effettuare con la riesumazione del cadavere, che darebbe gli stessi risultati delle indagini immuno-isto-chimiche. Ebbene, pur davanti a queste eccezionali possibilità di arrivare alla verità, il pm si è opposto. E noi ci siamo rimasti decisamente male”.

L’avvocato Anselmo aveva anche detto ai numerosi cronisti presenti in tribunale che era stato Vittorio Fineschi, il direttore del Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche e Medico legali de “La Sapienza” di Roma, a rendersi disponibile per effettuare gli esami.

Per quanto riguarda la Tac tridimensionale invece erano stati gli stessi consulenti del pm a consigliarla, senza peraltro essere ascoltati. “Sinceramente – aveva commentato ancora Anselmo – non riesco a comprendere le motivazioni dell’opposizione della procura perché se c’è anche una sola possibilità di arrivare alla verità, un magistrato ha il dovere di seguirla e mi sembra molto strano che un procuratore della Repubblica, che è un uomo dello stato, si rifiuti di farlo. Non bisogna avere paura della verità”.Richiedendo l’archiviazione, l’ex procuratore Giacomantonio non ha svolto più il suo dovere di pubblica accusa ma si è sostituito, di fatto, a chi deve prendere una decisione. E questo è veramente inaccettabile.

Sempre quel 23 febbraio 2015 avevamo chiesto all’avvocato Anselmo se Bergamini può ritenersi una vittima dello stato come Cucchi e Aldrovandi. Il legale ci aveva pensato qualche secondo e aveva risposto così: “Non lo so, ma se non si andasse ad un processo, si potrebbe certamente parlare di negata giustizia”.  La riesumazione del cadavere di Bergamini e l’incidente probatorio che cristallizza la prova con certezza scientifica dell’omicidio attraverso soffocamento e asfissia meccanica sono poi passati al vaglio del Gup di Castrovillari e finalmente siamo arrivati al processo, in corso ormai da un anno. 

Ritornando a bomba: chi ha paura della verità oltre al pavido Giacomantonio?

Senza ombra di dubbio Isabella Internò e i suoi protettori all’interno dei pezzi deviati dello stato. Se per tutti questi anni nessuno è mai riuscito ad arrivare alla verità, è chiaro come il sole che c’è stato qualcuno dietro le quinte che ha manovrato affinché il mistero rimanesse tale. Ed è altrettanto evidente che si sono coperte le gravissime responsabilità della procura di Castrovillari e segnatamente del magistrato che condusse le indagini ovvero Ottavio Abbate.  E’ possibile che le coperture e le protezioni di Isabella Internò siano state così alte e insormontabili? Anche per questo il tempo sarà galantuomo.

Per chiudere e per dovere di cronaca, che l’agenzia Ansa non ha ritenuto di voler esercitare, confermando ancora di più la mancanza totale di professionalità e deontologia, c’è da chiarire di quale condanna stiamo parlando. Si tratta di una condanna a 2.000 (duemila) euro di multa… Sempre e comunque a futura memoria, anche di coloro che continuano a coprire pacchianamente gli assassini.