Omicidio Bergamini, processo di appello. Fallito il ricorso in Cassazione, per Internò ora c’è l’incubo dell’aggravamento della pena

Nell’udienza celebrata il 3 maggio scorso in merito all’omicidio volontario pluriaggravato do Denis Bergamini, la Cassazione ha respinto il ricorso dei legali difensori di Isabella Internò, che avevano tentato di far dichiarare inammissibile il ricorso avanzato dalla Procura di Castrovillari contro la sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Cosenza che ha condannato l’imputata a sedici anni di reclusione per l’omicidio del calciatore.
Per i pm non avrebbero dovuto essere riconosciute all’imputata le attenuanti generiche come prevalenti sulle aggravanti contestate. Proprio per questo la Procura di Castrovillari aveva chiesto una pena di 23 anni di reclusione. I legali dell’imputata hanno provato la strada del ricorso in Cassazione ma la Suprema Corte ha sancito che sulla questione di pena dovrà invece pronunciarsi la Corte d’Assise di Appello di Catanzaro nel processo che avrà inizio venerdì prossimo 24 ottobre.

I legali di Isabella Internò e la procura di Castrovillari nello scorso mese di febbraio hanno depositato rispettivamente l’appello contro la sentenza e il ricorso per l’aggravamento della pena all’imputata per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini. In primo grado, il 1° ottobre 2024, la Corte d’Assise di Cosenza ha condannato Isabella Internò alla pena di 16 anni di reclusione. E ora si è appreso che il 24 ottobre inizierà il processo di secondo grado alla Corte d’Appello di Catanzaro. 

La procura di Castrovillari ricorre avverso la sentenza limitatamente al giudizio espresso nel senso della prevalenza della concessione delle attenuanti generiche in relazione alle aggravanti riconosciute, ritenendolo viziato.

Il fattore tempo va valorizzato sotto altro profilo a parere dei giudici che hanno scritto le motivazioni della sentenza ed è su questa base che concedono a Isabella Internò le attenuanti generiche. Per il pm Primicerio invece la questione è diversa. “In sostanza, il giudice di primo grado ha ricondotto nell’ambito dell’articolo 62 bis del codice penale, un tema – quello del difetto della funzione preventiva della pena da irrogare alla Internò, che non rientra nei confini della norma richiamata”.

Secondo il pm Primicerio il giudice di primo grado, così operando ha violato il codice penale applicando tale norma ad una situazione fattuale che non rientra nell’ambito normativo. “Ciò ha fatto in termini ancora più censurabili nella misura in cui ha poi effettuato un giudizio di comparazione tra le attenuanti previste dall’articolo 62 bis del codice penale, così malamente interpretato in termini di prevalenza dell’aggravante dei futili motivi e della premeditazione”.

Il pm Primicerio sottolinea poi come non si possa non tenere conto della falsità della versione dei fatti fornita da Isabella Internò alle autorità inquirenti fin dalle sue prime dichiarazioni, oltre che ai suoi familiari, e la pervicacia nel mantenere tale versione per 35 anni. Con il conseguente inquinamento delle prove che determina il ritardo dell’intervento dello Stato, diretta conseguenza del suo comportamento. Un ritardo che continua in relazione all’individuazione dei correi. Siamo davanti a un omicidio efferato eppure non c’è mai stato nessun ripensamento. “Sotto altro profilo – aggiunge la Procura – la motivazione, oltre che omessa nella parte in cui non considera i dati fattuali sopra esposti, nella parte in cui attribuisce al dato relativo al decorso del tempo una valenza ai fini del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle riconosciute aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili, si pone in contraddizione con la parte della decisione nella quale si valorizza, ai fini del riconoscimento della responsabilità di Isabella Internò, il comportamento della donna consistito nel avere fornito, nella immediatezza dei fatti, una versione falsa del suicidio e nell’averla mantenuta nel corso degli anni. Appare contraddittorio e manifestamente illogico attribuire all’elemento del decorso del tempo, di cui Isabella Internò è stata la principale fautrice per le ragioni esposte, un significato negativo in relazione alla sua dichiarazione di responsabilità (con riferimento all’alibi falso ed alle menzogne ripetute per anni per proteggere i correi) ed allo stesso tempo riconoscerle una valenza positiva ai fini del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle riconosciute aggravanti”.

I legali di Isabella Internò hanno provato la strada del ricorso in Cassazione per scongiurare il pericolo di un aggravamento della pena ma la decisione della Suprema Corte rappresenta adesso un ulteriore incubo per l’imputata.