Il 21 ottobre prossimo inizierà il processo d’appello. Le motivazioni della sentenza con la quale Isabella Internò è stata condannata a 16 anni di reclusione in primo grado per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini non descrivono soltanto il suo ruolo fondamentale di ideatrice e mandante del delitto ma anche quello degli esecutori materiali dell’omicidio. E a Cosenza tutti sappiamo da decenni che gli assassini fanno parte dello stesso nucleo familiare dell’imputata. Di seguito, uno stralcio delle motivazioni della sentenza nel quale i giudici pongono alcune domande fondamentali su questo aspetto.
“… E’ provato che un mese circa prima della morte Bergamini confida a Padovano che i genitori di Isabella, e quindi il padre, dal momento che la madre ne era già al corrente, avevano da poco saputo dell’intervenuta interruzione di gravidanza, e dunque è ben possibile che i cugini Internò avessero già appreso dell’aborto dallo stesso padre di Isabella oppure dalla sua viva voce. E lo stato f’animo di Denis di preoccupazione e malessere di quei giorni è confermato da Roberta Alleati e Roberta Sacchi….
La dimostrazione della partecipazione di Isabella Internò alla fase ideativa o di preparazione del reato è nei fatti per come ricostruiti, che muovono dalle confidenze alla Rota, con manifestazione dell’intento criminoso; alle telefonate ricevute dalla vittima nell’ultima settimana di vita; al sentimento di preoccupazione ricondotto esclusivamente all’affronto fatto a Isabella per averla lasciata; alla ratifica postuma alla Rota, che era giusto che fosse morto… Non si versa affatto in una situazione di indeterminatezza circa le concrete forme del manifestarsi della condotta concorsuale di tipo morale dell’imputata.
D’altro canto in un processo di tipo indiziario, a fronte della convergenza degli indizi, ritenuti gravi e precisi, la presenza di “zone d’ombra” nella ricostruzione delle modalità esecutive del fatto, non impedisce di ritenere dimostrata la fattispecie concreta “al di là di ogni ragionevole dubbio”…
L’ALIBI FALSO
Il dibattimento restituisce l’esistenza di un duplice alibi falso creato dall’imputata. Il primo – quello con Carmela Dodaro – tutela se stessa: costruisce la natura occasionale dell’incontro con Denis e cristallizza il fatto che sia stato lui a cercare lei… Se l’incontro è occasionale e lui passa a prendere lei, allora lei è mero spettatore di quello che accade subito dopo. L’alibi può funzionare.
Il secondo – le meschine fandonie sulla morte dell’ex compagno – tutela anche i correi. E chi si vuole tutelare, a distanza di 35 anni? Chi, dopo una vita trascorsa in un ambiente ostile (quello della cittadinanza mossa da intenti di giustizia ma ignara delle regole della legalità)? Chi, con il rischio di una carcerazione vita natural durante? O cosa? L’onore? Il suo e della sua famiglia? Isabella Internò è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio…
Oltre alle menzogne ripetute per anni sulla dinamica della morte, la precostituzione dell’alibi falso da parte dell’imputata, si incrocia perfettamente con quella dei parenti Internò sulla presunta cena e della zia Assunta Trezzi sulla volontà – non ricambiata – di Denis di sposare la nipote, tesa a far vacillare la ritenuta causale del delitto.
DOPO LA MORTE
Infine la condotta dell’imputata, successiva all’evento mortale rivela il suo atteggiamento di rivalsa e di finto dispiacere per la morte dell’ex fidanzato da cui è generata la artata e finta ricostruzione degli accadimenti. Invero, il tono pacato e distaccato alle telefonate con Marino e l’allenatore Simoni, allorquando comunicava loro il tragico episodio; la volontà immediatamente palesata ai compagni di squadra di Denis e alla stessa famiglia Bergamini di avere delle pretese sulla pregiata autovettura che costituiva l’ultimo regalo di Denis; il fatto che si fosse preoccupata nell’immediatezza di ritornare a Cosenza e di non avvisare le forze dell’ordine dell’accaduto; la circostanza che volle recarsi al Motel Agip per unirsi alla squadra la sera stessa dell’evento; il viaggio alla volta di Salerno con la ratifica della condotta delittuosa alla Rota (“era giusto così”); le domande continue rivolte ai compagni di squadra se credessero alla sua versione dei fatti, che ripeteva “come un disco rotto” se potesse subire una qualche conseguenza a seguito della sua presenza sul luogo ove la vittima si era “suicidata”…
L’ostentata presenza in prima fila ed attorno alla bara durante la cerimonia religiosa del funerale unitamente ai suoi parenti, tale da oscurare quella della famiglia della vittima; la volontà di fare rientro sull’autobus unitamente ai compagni di Denis, benché la relazione tra i due fosse finita, per sua stessa ammissione, da almeno un paio di mesi…
sono elementi che militano per il suo desiderio di ostentazione del ruolo di vedova inconsolabile, come a volere riparare, di fronte ai suoi familiari, l’onore ferito per l’abbandono, specie dopo l’interruzione di gravidanza cui non era conseguita alcuna promessa di matrimonio. Una dimostrazione all’esterno della ricomposizione del rapporto con Denis, che ancora una volta l’aveva cercata e voluta negli ultimi istanti di vita, nei quali proferiva al suo indirizzo l’improbabile frase “ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo!”….”.