Ha ripercorso gli ultimi giorni vissuti insieme al fratello Denis e il momento in cui ha appreso della sua tragica scomparsa. Con la dignità e la compostezza che da sempre la caratterizzano, nel corso del convegno promosso dal Rotary Club Rende sul tema “Il Caso Bergamini verso la giustizia”, Donata Bergamini ha rivissuto quei momenti di angoscia coinvolgendo il vasto pubblico presente nella sala del Villa Fabiano Hotel di Rende.
La sorella maggiore di Denis Bergamini (appena un anno a dividere i due inseparabili fratelli) ha raccontato dell’ultimo incontro con il fratello a Boccaleone, lunedì 13 novembre 1989, cinque giorni prima dell’omicidio del fratello. Ha raccontato prima di quella risposta di Denis alla sua domanda se si vedesse ancora con la Internò, “no, non ce la faccio più perché è come l’Attak, me la ritrovo dappertutto”, poi di quella telefonata ricevuta mentre si trovavano a cena. Telefonata che turbò notevolmente Denis, tornato a tavola paonazzo e visibilmente sudato e agitato. Telefonata della quale, però, non volle parlare e della quale non diede conto né al padre Domizio né tantomeno alla stessa sorella. Quello è un cruccio che Donata si porta ancora dietro… chi lo chiamò quella sera a casa?
Il racconto della sorella ripercorre poi il momento in cui venne a sapere della morte del fratello o, meglio, dell’incidente nel quale era rimasto coinvolto (così le disse il suo allora marito Guido). Il viaggio verso Roseto in auto assieme al marito e ai genitori, la tappa presso la stazione dei carabinieri dove il brigadiere Barbuscio li riceve, solo dopo una lunga attesa, ma decide di parlare solo con suo padre al quale consegna una busta gialla, l’orologio di Denis ed una polaroid che ritrae il corpo di Denis steso davanti la ruota anteriore destra di un camion.

Chiede di essere accompagnata dai carabinieri sul luogo dove è stato ritrovato Denis, non incontrando alcuna disponibilità immediata da parte del brigadiere. Solo dopo aver, comprensibilmente, insistito quel carabiniere, infastidito, dice ad uno dei suoi sottoposti “andiamo che QUESTI vogliono vedere il posto”. Nell’uscita dalla caserma, vedono lì parcheggiata la Maserati, pulita come se fosse appena uscita dall’autolavaggio e senza alcun segno sulle ruote, e sotto la carrozzeria dove si china a guardare Guido, dei segni di una sosta in una piazzola sterrata in una serata di pioggia. Arrivato al KM 401 della Statale 106, i familiari di Denis non riuscivano a vedere alcun segno sull’asfalto di un trascinamento di 60 metri come detto loro dal brigadiere. Chiedono quindi dove sia accaduto realmente, ricevendo per risposta un paio generici “è stato lì… lì…”. A quel punto è papà Domizio a dire ai familiari di andare via e recarsi in obitorio perché “tanto qui non impareremo mai niente”.
Solo qualche giorno dopo, vedendo in TV un servizio sull’accaduto al “Processo del lunedì” capiranno che quel carabiniere non li aveva portati nel punto esatto del ritrovamento.
Donata ha sottolineato tutte le incongruenze che, da subito, le lasciarono perplessi. Che ci faceva Denis a Roseto se doveva essere in ritiro e giocare il giorno dopo? E soprattutto, perché c’era Isabella con lui? E poi la storia del voler mollare tutto e arrivare a Taranto per imbarcarsi faceva acqua da tutte le parti. Taranto è un porto commerciale e militare, non vi si imbarcano i civili. E poi dov’era la logica in una fuga senza soldi, senza vestiti, senza bagaglio? Senza avvisare nemmeno gli affetti più cari.
Donata ho poi raccontato di Isabella, del loro incontro dopo la morte del fratello e di come la ragazza non facesse che ripetere, come un disco incantato, la solita storia: “Si è buttato sotto il camion come un tuffo in piscina”.
Anche il giorno del funerale a Cosenza, in quella chiesa gremita e dove trovarono intorno al feretro lo schieramento di tutti i familiari della Internò e che quasi impedirono loro di stare accanto alla bara, Donata provò a stare vicino ad Isabella per cercare di avere maggiori informazioni, come gli chiese il papà, ma non ne ottenne eccetto un perentorio “è stato così, come ti ho detto”.
La ragazza, “straziata” da un dolore apparente ma per il quale non versava lacrime, era protetta da un cordone di parenti che la famiglia Bergamini non conosceva ma la cui presenza si avvertiva pesantemente. Si avvertiva pesantemente, tra quelle persone, una sensazione di essere circondata da soggetti che non le volevano affatto bene, anzi. E ricorda all’uscita del feretro dalla chiesa una voce, che non è mai riuscita ad identificare, che diceva alla folla: “fate cordone attorno alla famiglia Bergamini”, come se già qualcuno avesse capito che tra quelle persone ci fossero i responsabili della morte di Denis.
Poi il ricordo per il compianto Padre Fedele, convinto dal primo momento che Denis fosse stato ucciso e dopo averne visto il cadavere insistette con la famiglia per farsi ridare i vestiti del ragazzo, che già dalle prime foto erano incompatibili con un lungo trascinamento sull’asfalto. Rintracciato in modo rocambolesco via telefono l’obitorio di Trebisacce, la laconica comunicazione che i vestiti erano già stati mandati all’inceneritore.
La conclusione è un ringraziamento per il Dottor Facciolla. Quando invitò in Procura, poco dopo il suo insediamento, sia lei che i suoi legali per comunicargli che aveva intenzione di riaprire il caso chiedendo la riesumazione, non si è lasciata sopraffare dalle amarezze che quella Procura aveva dato a lei ed alla sua famiglia ed oggi è orgogliosa di avergli dato fiducia.











