Omicidio Bergamini. Il peso e l’onore di chiamarsi Denis, parla il nipote

Fonte: Estense (https://www.estense.com/?p=929277)

Il peso di chiamarsi Denis. Il peso e l’onore. E il dolore. Donato “Denis” Bergamini è morto 32 anni fa e a portarne lo stesso nome, non a caso, è il nipote, 31 anni a gennaio, che “ha vinto la ritrosia”, come riferisce l’avvocato Fabio Anselmo, per fornire anche la voce della famiglia del calciatore ferrarese del Cosenza dopo la riapertura del caso e il rinvio a giudizio dell’ex fidanzata Isabella Internò, con l’accusa di concorso in omicidio aggravato dalla premeditazione e dai motivi futili. Famiglia che, si sa, non ha mai creduto alla versione del suicidio e non ha mai smesso di chiedere giustizia. A partire dalla sorella gemella Donata – le cui condizioni di salute le stanno temporaneamente impedendo di seguire la vicenda giudiziaria – dalla quale ha raccolto il testimone la figlia Alice e lo stesso Denis.

Nello studio del legale Anselmo è proprio Denis a non poter nascondere l’emozione nel rievocare quel nome, il nome che porta in onore dello zio morto. “E’ la prima volta da quando sono nato – dice – che si sa che è stato ucciso. Che si sa pubblicamente, intendo, perché noi come famiglia lo sapevamo già. E lo dobbiamo all’avvocato Anselmo che dal 2015 ci ha seguito: dopo tutte le riaperture e chiusure del caso non so quanti altri avvocati avrebbero accettato. La riesumazione del corpo voluta da Anselmo è stata fondamentale”.

La prima udienza del processo è fissata al 25 ottobre. Secondo l’accusa, la Internò, all’epoca 19enne, non avrebbe accettato la fine della relazione conDenis e avrebbe narcotizzato e soffocato Bergamini per poi inscenare il suicidio del calciatore sotto un camion, sulla Statale 106, all’altezza di Roseto Capo Spulico, avvalendosi dell’aiuto di persone che restano ignote agli inquirenti. La famiglia Bergamini e i tifosi non hanno mai creduto alla versione del suicidio e ora la Procura di Castrovillari ha acquisito elementi per il rinvio a giudizio della ex del calciatore. “A Castrovillari – racconta il nipote Denis – sono andato con i miei fratelli, Alice, l’unica che aveva conosciuto lo zio, e Andrea. Abbiamo trovato qualche nostro sostenitore e un ambiente generale ‘favorevole’, mentre l’ambiente di Cosenza non abbiamo potuto viverlo in quanto ci siamo fermati lì, a Castrovillari. Quella dello zio è una vicenda che si sarebbe potuto risolvere subito, con indagini approfondite”.

“Sono cresciuto in questa vicenda”, aggiunge poi stentando a trattenere le lacrime e interrompendosi, lasciando poi all’avvocato Anselmo ogni altra considerazione sugli elementi che hanno destato fin da subito dubbi sulla versione del suicidio, a partire dal racconto della Internò fino all’offerta al padre di Denis di un miliardo di lire di risarcimento per chiudere la vicenda, che lui rifiutò. “Riaprire il processo sembrava una ‘mission impossible’ – dichiara Anselmo – e credo non si preannunci facile, noi però crediamo molto negli aspetti medico-scientifici. Sul corpo di Denis non sono state riscontrate ferite, lacerazioni, ematomi che confortino l’ipotesi dell’investimento: credo che il corpo di Denis continuerà a parlare”.