Omicidio Bergamini, l’inchiesta-bis della questura e il risveglio dei cosentini

Il 27 dicembre 2009, quando la città di Cosenza tributò il suo ricordo a Denis Bergamini e alla sua famiglia, ebbi l’onore di parlare nella sala stampa del San Vito e di dire quello che già allora era chiaro per tutti.

Questa la parte saliente di quel discorso.

Fino a qualche mese fa pensare di essere qui nella sala stampa dello stadio San Vito per parlare dell’omicidio di Denis Bergamini sarebbe stato soltanto un sogno e basta. Invece ci siamo riusciti, siamo qui e se ci siamo riusciti vuol dire che la città si è svegliata.

Non è che prima Cosenza abbia dormito, ma oggi ha finalmente preso coscienza di quanto stava accadendo e si stava sviluppando nelle sue pieghe.

Diciamo la verità: quando Denis è stato ammazzato, eravamo tutti disorientati, non sapevamo spiegarci cosa fosse successo realmente. Capivamo tutti che non era un suicidio, lo avevano capito anche i bambini, ma ci chiedevamo cosa significasse quella maledetta macchina, la Maserati biturbo, cosa significasse l’ex fidanzata lì, sul luogo del delitto, che cosa significavano troppe cose. Troppi carabinieri, troppi poliziotti. Non ci quadrava proprio nulla di quella maledetta storia. Avevamo capito comunque che dietro l’omicidio di Bergamini c’era qualcosa di molto grosso, qualcosa che difficilmente avremmo potuto smuovere, perché noi non siamo in grado, neanche adesso, di smuovere le montagne dei poteri forti. I poteri forti sono ancora qui, in questo momento, anche in questa stanza. Non crediate che non ci stiano osservando… Probabilmente ci lasciano fare, perché noi possiamo andare avanti fino a un certo punto, poi ci dovranno pensare loro, altrimenti non sarebbe stato possibile coinvolgere sei parlamentari (e sottolineo sei!) per cercare di arrivare alla verità.

E siamo stati costretti a “disturbare” ancora gli ex compagni di squadra di Denis, perché anche loro dovranno ancora dare un grande contributo per aiutarci a capire cos’è successo davvero quella sera del 18 novembre 1989. In questi vent’anni ognuno di noi ha provato a capire e ha provato a fare qualcosa.

Sergio Canaletta e gli ultrà hanno rigato decine di striscioni, i tifosi storici hanno esternato in tutti i modi il loro dolore sincero per Denis. Ognuno di noi, da cosentino, ci è rimasto male, perché Denis ha perso la vita qui, nel nostro ambiente e tutti noi ci siamo portati dietro per tanti, troppi anni il senso di colpa nei confronti della famiglia Bergamini. E’ stato però consolante e per certi versi commovente poter dire alla famiglia di Denis che Cosenza non è quella che purtroppo si è dimostrata attraverso poche persone. La vera essenza di Cosenza è questa: i ragazzi delle curve e tutti i tifosi autentici che ancora conservano Denis nel loro, nel nostro cuore.Stamattina ho assistito a due scene bellissime. Sono uscite fuori due magliette originali di Denis. Una ce l’ha Enrico e vedevo che piangeva quando l’ha mostrata a Donata, l’altra è qui, su questo tavolo… Ognuno di noi ha avuto un senso di pudore, quasi di timidezza nel dover dire alla famiglia Bergamini: purtroppo è successo qui, ma noi non siamo come quelli che hanno ammazzato Denis. Noi non siamo come quelli e vogliamo tirare fuori i nomi di chi l’ha ucciso. Ci dovete aiutare, cari signori dei poteri forti…

La novità più importante ai fini dell’inchiesta l’abbiamo già anticipata qualche giorno fa su Cosenza Sport, il settimanale che dirigo e che credo stia dando un contributo determinante per far capire chi ha ammazzato Bergamini ai cosentini. Non è stato facile portare avanti questa campagna giornalistica, perché c’era e c’è ancora sempre qualcuno che mi dice: “stai attento che ti ammazzano, stai attento che ti sparano, stai attento che ti fanno trovare 10 grammi di eroina in tasca e poi ti arrestano…”. Le solite cose che si dicono a Cosenza…

La novità più grossa, come vi stavo dicendo, è aver appreso che la questura di Cosenza, quindici anni fa, aveva aperto ufficialmente un’inchiesta-bis per arrivare a coloro che hanno ucciso Bergamini. La questura ha lavorato in questo senso e l’ha fatto con professionalità, perché nel giro di qualche mese aveva dato un incartamento corposo alla procura di Castrovillari, nel quale aveva circostanziato una serie di indizi e di prove e aveva disposto intercettazioni telefoniche.

Questa notizia non l’ho letta su altri giornali e me ne dispiace molto. La questura di Cosenza forse ha peccato in tema di comunicazione, non ha voluto rendere pubblica questa sua meritoria attività di inchiesta, ma non è importante. I colleghi possono chiedere lumi al dottore Cantafora, che è in questa stanza… Cari colleghi, quando si dispone un’intercettazione telefonica, si raccolgono anche indizi e prove…

Io lo so che adesso Claudio Dionesalvi si metterà a ridere, perché quando gli hanno messo il telefono (e non solo…) sotto controllo, non credo che avessero indizi e prove… però… che dobbiamo fare? Oggi il nostro desiderio massimo è quello di inchiodare alle loro responsabilità gli assassini di Bergamini. E allora, in quelle carte, che adesso sono al vaglio della procura di Castrovillari, ci sono gli elementi utili per capire perché si volessero mettere sotto controllo determinate utenze telefoniche.

La questura di Cosenza dunque fece il suo dovere, ma non lo fece invece la procura di Castrovillari perchè si inventarono delle scuse balorde per non disporle quelle intercettazioni… Dissero che a luglio non c’era nessuno perché era estate… Castrovillari archiviò e la questura tacque. E così anche noi giornalisti. Sì, anch’io, che nel 1989 avevo 24 anni… Quelli più grandi di me, che non ci riconoscevano neanche l’attività svolta nelle radio e nelle tv private, e che lavoravano alla Rai, a Repubblica, al Corriere dello Sport o al Corsera, non vollero indagare per capire fino in fondo.

Abbiamo pensato anche noi per molti anni che ci fosse la malavita di mezzo. Eravamo pressoché sicuri, anche se quelle modalità ci lasciavano interdetti… La malavita firma i suoi omicidi o fa sparire i cadaveri, ce lo dicevamo tra di noi, ma non bastava per tranquillizzarci... Sì, perché avevamo il terrore che la malavita fosse comunque presente in quella logica omicida. La Maserati, i doppi fondi…

Ma andando avanti con l’inchiesta le cose sono cambiate. E per questo dobbiamo dire grazie alla famiglia Bergamini, che ci ha accolto in casa, ci ha fatto vedere tutto il materiale in suo possesso. Sì, è vero stiamo facendo gli investigatori, così come ha fatto Carlo Petrini prima di noi. Perché di investigatori ufficiali, in questa storia, purtroppo non ce ne sono… E allora l’abbiamo vista questa maledetta Maserati e dei doppi fondi non c’è nessuna traccia! E, in ogni caso, con quella macchina droga al Nord non poteva mai essere arrivata.

Isabella Internò

Abbiamo capito presto che il “giallo” non era “giallo” e ci siamo resi conto che tutte le piste venivano a cadere: la droga non c’era, la malavita nemmeno e così restavano solo l’ex fidanzata e la sua famiglia. Per forza. Io non ho nessun problema a fare il nome di questa signora e sono sicuro che si possono pubblicare anche le sue fotografie, perchè, così facendo, non violiamo la privacy di nessuno. Semmai è lei che ha violato la nostra… Perchè non siamo riusciti, in vent’anni, ad arrivare a quella verità che lei, unica testimone oculare dell’omicidio, non ci ha mai detto. Lo ripeto: per vent’anni!

Quello che ha detto Isabella Internò non è vero!

Davanti a questa vicenda che coinvolge in pieno lei e la sua famiglia abbiamo dovuto sopportare finanche il suo matrimonio con un signore che ancora adesso presta servizio nella polizia… e che stava già vicino a quella che probabilmente era già la sua donna e poi sarebbe diventata sua moglie. Altro che fidanzata di Bergamini…

Non lo dico per screditare i colleghi della questura di Cosenza. Loro non possono essere paragonati ad altre persone che hanno sbagliato e vanno condannate…

Potevano pensarci i colleghi della polizia di Paola a difendere il marito di Isabella dagli attacchi di Cosenza Sport. Ma nessuno ci ha mai scritto una riga.

Di conseguenza, siamo sicuri che questo signore, il marito di Isabella, e la sua gentile consorte sono coinvolti in questa vicenda e non si deve avere paura di dirlo, di gridarlo, di urlarlo. Dobbiamo avere tutti più coraggio: nessuno ci verrà a bussare al citofono… Abbiamo il fondato motivo di credere che il procuratore Giacomantonio abbia già visto le carte e che finalmente il caso si può riaprire.

Il vero reato che dobbiamo perseguire è quello di omicidio volontario, non omicidio colposo.

Con le forze di polizia non c’è e non ci può essere nessun rancore. La parte sana della questura di Cosenza dica la verità. Ci sono persone oneste anche tra loro… Aspettiamo le carte e presto potremo annunciare con gioia e soddisfazione che il caso Bergamini sarà riaperto.

Attenzione, però. La riapertura del caso non può e non deve bastare. Cosenza scenderà tutta compatta in piazza quando non si vedrà più lo scetticismo che ancora adesso è dipinto sul volto di troppi cosentini. Ormai non c’è niente e nessuno da proteggere e niente e nessuno da temere. Rendiamoci conto che questa vicenda è troppo umiliante per Cosenza. La famiglia Bergamini deve poter dire: vabbè, Cosenza si è svegliata tardi, però si è svegliata! E quando gli ultrà scendono in piazza, vuol dire che c’è la volontà di arrivare alla verità.

Oggi c’è da festeggiare la rinascita morale di una città umiliata e mortificata per troppi anni.

Non solo da quei bastardi che hanno ammazzato Denis ma anche da coloro che fanno parte del sistema della giustizia e non hanno fatto nulla per arrivare alla verità. E da quella corporazione di giornalisti che ha “dormito”. Se penso a come ci rappresenta il Tg3 Calabria del servizio di Stato mi vergogno di essere calabrese!

Inoltre un messaggio agli editori. Capisco le questioni politiche che tarpano le ali anche ai giornalisti più volitivi, ma su un omicidio grave come questo forse sarebbe il caso di incentivare chi vuole scrivere per la verità.

Gabriele Carchidi