Omicidio Cucchi, a che livello arrivano le protezioni dei carabinieri assassini?

Nove anni di insulti. Nove anni di menzogne. Nove anni di ingiustizia per la famiglia Cucchi, che ha lottato senza tregua per giungere alla verità sulla morte di Stefano A colpi di testardaggine, competenza giuridica e volontà di arrivare alla verità, il processo a cinque carabinieri per l’uccisione di Stefano Cucchi è arrivato al momento decisivo.

Ieri mattina, all’inizio dell’udienza, il pm  Giovanni Musarò ha reso nota “un’attività integrativa di indagine” nata dalla denuncia di Francesco Tedesco, uno degli imputati. Il militare – evidentemente ormai convinto di non avere più scampo – ha deciso qualche tempo fa (nel mese di luglio per la precisione) di “cantarsela” e cercare di cavarsela con il minimo della pena per i “collaboratori di giustizia”. Il carabiniere Francesco Tedesco ha infatti accusato i colleghi  Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo del pestaggio che ha provocato le lesioni fatali per Stefano.

Alla luce di questa dirompente novità, Ilaria Cucchi adesso pretende che in tanti chiedano scusa. E spiega anche chi.

Ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni.
Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto.
Ci chieda scusa chi ci ha denunciato.
Sto leggendo con le lacrime agli occhi quello che hanno fatto a mio fratello.
Non so dire altro.
Chi ha fatto carriera politica offendendoci si deve vergognare.
Lo Stato deve chiederci scusa. Deve chiedere scusa alla famiglia Cucchi.

“Ci sono voluti quasi dieci anni e oggi, infine, la verità sulla morte di Stefano Cucchi emerge nitidamente. È giusto provare soddisfazione, ma anche ricordare come, in quei giorni di fine ottobre del 2009, la famiglia Cucchi e quei pochissimi che stavano al suo fianco già indicavano nei carabinieri che lo avevano tratto in arresto i responsabili di quel delitto”, afferma Luigi Manconi, presidente di di A buon diritto Onlus.

“Tutto ciò mentre le indagini venivano deviate e l’attività, non proprio oculatissima, di due pubblici ministeri si indirizzava contro appartenenti alla polizia penitenziaria”, osserva ancora Manconi. “Mi auguro che quanti in questi anni hanno oltraggiato Stefano Cucchi – conclude Manconi – e diffamato la sua famiglia, i vari ‘carlogiovanardi’ e i piccoli leader di sindacati di polizia omertosi, trovino modo di chiedere scusa”.

Anche l’attore Alessandro Borghi, che ha interpretato Cucchi nel film “Sulla mia pelle” su Netflix, ha scritto su Twitter: “La giustizia è lenta ma ariva pè tutti”.

Nel giorno in cui emerge un altro tassello di verità, però, restano da chiariare, tuttavia, ancora molti punti oscuri della vicenda. Per esempio il livello di coperture che hanno garantito ai picchiatori di Cucchi di rimanere impuniti per nove lunghi anni. Un dubbio che si fa più inquietante dopo le dichiarazioni dello stesso Tedesco. Tramite l’avvocato ha ammesso di essere stato costretto al silenzio contro la sua volontà. Da chi? Che tipo di minacce ha ricevuto? A che livello arrivano le protezioni degli esecutori del pestaggio di Stefano Cucchi?

Interrogativi ai quali, prima o poi, qualcuno dovrà rispondere. Qualcuno dovrà rendere conto alla Giustizia di quei verbali modificati, di altri spariti, di tentativi di depistaggio mai chiariti. Forse è arrivato il momento, perché il muro di gomma dietro cui si sono nascosti finora i responsabili rischia di crollare definitivamente.