Omicidio Cucchi, dieci anni senza giustizia

Dieci anni fa moriva Stefano Cucchi. Di un pestaggio violento da parte di due carabinieri, un pestaggio che i giudici hanno definito “degno di teppisti da stadio”. Mentre si trovava nelle mani di uomini dello Stato, che avrebbero dovuto essere un presidio di giustizia.

È un tristissimo anniversario quello che si consuma oggi, 22 ottobre 2019, per un crimine che non ha ancora avuto giustizia. Proprio oggi esce il libro della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi e dell’avvocato Fabio Anselmo, che ha seguito tutti i processi, “Il coraggio e l’amore”. Il libro ricorda quel ragazzo sano e allegro di 31 anni: “Nulla poteva far pensare che fosse in pericolo di vita” e ripercorre una battaglia giudiziaria che è già storia d’Italia.

Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri il 15 ottobre 2009 perché aveva addosso delle dosi di droga. Stefano muore il 22 ottobre, in ospedale, mentre si trovava in custodia cautelare. Dopo che il primo processo si è chiuso con un nulla di fatto, si è aperta un nuovo procedimento che vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di depistaggio e due di omicidio preterintenzionale. Uno di questi carabinieri, Francesco Tedesco, ha apertamente accusato gli altri due del violento pestaggio ai danni di Stefano, segnando una svolta decisiva nel caso.

Lo stesso pm Giovanni Musarò, nella requisitoria del processo ai militari, ha ricostruito le ultime tragiche ore di Stefano:  “Ha perso sei chili in sei giorni, non riusciva nemmeno a mangiare per il dolore. Ha subìto un pestaggio violentissimo, degno di teppisti da stadio contro una persona fragile e sottopeso”. Il detenuto Luigi Lainà, che ha incontrato Stefano la notte tra il 16 e il 17 ottobre a Regina Coeli, aveva raccontato: “Gli ho chiesto di alzarmi la maglietta. E lui mi ha mostrato la schiena: era uno scheletro, sembrava un cane bastonato, roba che neanche ad Auschwitz. Aveva il costato di colore verdognolo-giallo, come quello di una melanzana. Gli ho chiesto se a ridurlo così fosse stato qualcuno della penitenziaria, ero pronto a fare un casino e invece lui rispose che erano stati i carabinieri che lo avevano arrestato… ‘Si sono divertiti’, mi aggiunse”.

Pablo Trincia de Le Iene aveva intervistato l’ex moglie di un altro imputato (nel servizio che potte rivedre sopra), il carabiniere Raffaele D’Alessandro che racconta come l’ex marito parlava del caso: “Eh, c’ero anch’io quella sera là, quante gliene abbiamo date a quel drogato di merda”.

Prima di essere arrestato non aveva traumi fisici. Invece all’udienza per la conferma del fermo in carcere aveva difficoltà a camminare e a parlare ed evidenti ematomi agli occhi. Parlò per pochi minuti con il padre, senza dire di essere stato picchiato. Il giudice fissò l’udienza per il processo un mese dopo lasciandolo in custodia cautelare a Regina Coeli.

Sono queste le ore descritte nel film interpretato da Alessandro Borghi. Dopo l’udienza le condizioni di Cucchi peggiorarono ulteriormente. Visitato all’ospedale Fatebenefratelli aveva lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso con una frattura della mascella, all’addome con un’emorragia alla vescica e al torace con due fratture alla colonna vertebrale. Rifiutò il ricovero tornando in carcere dove le sue condizioni peggiorarono.

Morì all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009 senza essere mai riuscito a rivedere i familiari che cercarono più volte di incontrarlo. Pesava 37 chili alla morte e il suo corpo era nelle condizioni che sono evidenti dalle fotografie scattate dalla sorella. Lei e i genitori seppero che era morto solo quando un ufficiale giudiziario andò da loro per notificare l’autorizzazione all’autopsia.Una tragedia a cui si è aggiunto un vergognoso depistaggio, come ha spiegato ancora il pm: “È stato celebrato un processo kafkiano per l’individuazione dei responsabili, non possiamo fare finta che non sia successo niente, di non sapere e di non capire che quel processo kafkiano è stato frutto di un depistaggio”.

LE PRIME INDAGINI
Le percosse, nonostante le prime indagini parlassero di morte in conseguenza di un supposto abuso di droga o per pregresse condizioni fisiche compresa una marcata ipoglicemia, erano evidenti e confermate da testimoni, altri detenuti, che dicevano che Stefano era stato picchiato. Ma da chi?

I primi a finire sotto processo furono gli agenti di polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici che avrebbero gettato il ragazzo per terra procurandogli le lesioni toraciche, infierendo poi con calci e pugni nelle celle di sicurezza del tribunale di Roma. Insieme a loro finirono sotto inchiesta tre medici del reparto di Medicina Protetta dell’ospedale Sandro Pertini.

Stefano Cucchi

Il 27 novembre 2009 una commissione parlamentare concluse che Stefano Cucchi era morto per abbandono terapeutico. Durante il processo di primo grado, nel 2012, i periti incaricati dalla Corte hanno stabilito che il giovane era morto a causa delle mancate cure mediche, e per grave carenza di cibo e liquidi. A loro parare le lesioni erano dovute a un pestaggio oppure a una caduta accidentale. Nel 2013 arrivarono le condanne per i medici in primo grado, ma furono assolti l’anno dopo in appello. La Cassazione nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2015, dispose il parziale annullamento della sentenza di appello e l’anno dopo la Corte d’Appello di Roma assolse i 5 medici dall’accusa di omicidio colposo nell’appello bis. Non erano però loro gli autori del pestaggio.

I CARABINIERI
Fino a questo momento e per tutto il processo che vede coinvolti i medici e i poliziotti della penitenziaria (che ora chiedono indennizzi cospicui) non c’è traccia di quelli che sono diventati alla fine i veri imputati: i carabinieri. Nel settembre 2015 la Procura della Repubblica di Roma, su richiesta della famiglia Cucchi, ha riaperto un fascicolo d’indagine sul caso partendo da un esposto al magistrato: un militare dei carabinieri, Riccardo Casamassima, aveva ricevuto minacce per la sua testimonianza.

Sarà questa la testimonianza decisiva per la riapertura delle indagini sui Carabinieri presenti nelle due caserme dove erano state fatte l’identificazione e la custodia in camera di sicurezza tra la sera del 15 e la mattina del 16 ottobre 2009. Il 17 gennaio 2017, alla conclusione delle indagini preliminari, viene chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti dei militari dell’Arma dei Carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di aver colpito Cucchi con schiaffi, pugni e calci, facendolo cadere e procurandogli lesioni divenute mortali.

È questo il processo in cui sono venute fuori le violenze e le calunnie, le false testimonianze e le omissioni nei verbali e negli atti che portarono alle accuse nei confronti di tre agenti della polizia penitenziaria. I Carabinieri sono stati precauzionalmente sospesi nel 2017 a tempo indeterminato. Sono accusati di omicidio preterintenzionale. Saranno 8 alla fine i militari dell’Arma a finire sotto processo, fra questi anche quanti, dall’alto hanno coperto le azioni di chi aveva direttamente incontrato Cucchi.

Il prossimo 14 novembre è attesa la sentenza nel processo bis che vede indagati i cinque carabinieri, due dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Il pm ha chiesto 18 anni di carcere per i due carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale