Padrone ingrato
(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Nelle sapide cronache della quasi discesa-discesetta-discesina in campo di Pier Silvio B. nessuno – ma proprio nessuno – fa notare l’aspetto più surreale della vicenda: il monumentale conflitto d’interessi ereditario di un signorino che è amministratore delegato e vicepresidente esecutivo di Mediaset, azionista di Fininvest, presidente di Rti (le reti tv di famiglia), membro dei Cda di Media For Europe, di Mediaset España e di Mondadori (a suo tempo sottratta dal padre al proprietario De Benedetti grazie a una sentenza comprata da Previti) e della concessionaria pubblicitaria Publitalia (fondata dal pregiudicato per mafia Dell’Utri). E dà ordini e pagelle ai massimi dirigenti di Forza Italia – che governa lo Stato di cui Mediaset è concessionaria e che i B. tengono in vita con donazioni, più le fidejussioni che garantiscono i debiti di quasi 100 milioni – affinché facciano quello che dice lui, in attesa che ne assuma il comando quando gli girerà di farlo. E naturalmente potrà farlo grazie alla finta legge sul conflitto d’interessi varata dal genitore tramite l’apposito Frattini e alla complicità del centrosinistra che si guardò bene dal farne una decente e di applicare la legge Scelba del 1957 sull’ineleggibilità dei titolari di concessioni pubbliche. Il tutto – tocco di classe finale – mentre sta presentando i palinsesti delle sue tv. Ma nessuno nota la mostruosa abnormità della scena e tutti la commentano come se fosse normale. Gli stessi che da mesi spiegano agli americani i conflitti d’interessi di Trump e Musk (che peraltro non posseggono tv e ora litigano pure) fingono di non vedere il nostro, come se dopo 31 anni si fosse prescritto.
C’è pure qualche sincero democratico che sorvola perché sogna l’ammucchiata Forza Pd contro i “populisti”, come se uno che dà la la scaletta al vicepremier e ministro degli Esteri Tajani e fulmina lo Ius scholae tra un commento su Ilary Blasi e uno su Diletta Leotta non fosse il recordman mondiale del populismo.
Spiace per Renzi e Gasparri che, dopo tanto prodigarsi per la ditta, vengono così ripagati dal padrone ingrato. Renzi, credendo di fare un dispetto, annuncia che non darà più i suoi libri (si fa per dire) a Mondadori, che risparmierà sui lauti anticipi. Sempreché il noto campione di coerenza mantenga la promessa: se è come quando lasciò la politica nel 2016, Marina dovrà riservargli una collana ad hoc. Gasparri invece finge di non sentire: “Pier Silvio dice che sono bravissimo e quindi sono contento”. Pover’uomo: passare la vita a giocarsi l’eventuale faccia fra due leggi Gasparri, un decreto Salva-Rete4, altre marchette sfuse e finire liquidato in quel modo. Però magari adesso la legge sul conflitto d’interessi la presenta lui.