L’Asp di Cosenza ha annunciato tempo fa, e anche con una certa enfasi, di aver vinto una complessa causa giudiziaria riguardante il Palazzo della Sanità di Cosenza, con la quale l’Azienda potrà rivalersi sugli immobili venduti dalla società Adifin fino a un ammontare di 5 milioni di euro.
Detta (e scritta) così, potrebbe sembrare addirittura un successo senza precedenti. Ma in politica e in sanità, specie qui da noi, nulla è come appare.
Vi raccontiamo allora la vera storia del Palazzo della Sanità, o meglio del suo fantasma (visto che non è mai stato posato neanche un solo mattone di quest’opera), che si materializza solo nelle aule dei tribunali.
Corre l’anno 1995 e anche all’allora ASL numero 4 di Cosenza viene nominato il primo manager nella persona di Lucio Sconza. Viene dato in quota CCD (il vecchio nome dell’Udc), sponsorizzato da Franco Pichierri ma anche dai fratelli Mario e Roberto Occhiuto, che già si affacciano al proscenio della “politica sanitaria”. Mario, in particolare, è fresco reduce dalla brutta avventura con la sua Secop (società di intrallazzi) e con quel traffichino di Petramala, che gli è costata addirittura 20 giorni di carcere. Ma non è certo questo che frena la sua sete di potere e di denaro.
La novità e la voglia di fare provocano una piccola rivoluzione all’interno di un ente sclerotizzato. Sorge qualche idea innovativa. Un primo elemento che risulta evidente è che nella città di Cosenza ci sono 24 sedi diverse dislocate nei luoghi più impensati per offrire i servizi sanitari ai cittadini. La folle dislocazione determina una mancanza di collegamenti tra le varie prestazioni con la creazione di percorsi diagnostico-terapeutici che somigliano a un perverso gioco dell’oca, disegnato sulla pelle dei cittadini-utenti.
In più, questa dispersione ha un costo esorbitante, pari circa a un milione e mezzo di euro annui per il pagamento dei fitti ai proprietari dei vari immobili.
Il manager Sconza, fresco di nomina e di entusiasmo, intravede una soluzione che potrebbe essere l’uovo di Colombo: costruire un Palazzo della Sanità in cui accentrare tutti i servizi sparsi sul territorio. Con grande celerità viene indetto un appalto-concorso internazionale. Aggiudicatario risulta l’impresa Adifin di Michele Allegrini (noto gioielliere) e Giuseppe Di Donna (famoso commercialista), che si servono dell’architetto Mario Occhiuto per la progettazione.
Successivamente le quote della società vengono cedute agli imprenditori Antonio Gatto (per gli amici Tonino, il re della Despar) e Francesco Paola. Viene firmato un contratto tra l’Asl 4, la società con il quale si stabiliscono le condizioni a carico di entrambi i contraenti. In particolare, viene quantificato in 29 miliardi di lire l’importo dell’intero edificio, vengono stabiliti i tempi di realizzazione (36 mesi) e le modalità di pagamento, anticipo e somma da corrispondere alla fine della costruzione.
Il vecchio leone Giacomo Mancini, sindaco dell’epoca, intuisce il grande impatto urbanistico e sociale dell’iniziativa e si affretta a rilasciare la concessione edilizia. A quel punto tutto è pronto per la posa della prima pietra.
Dense nuvole si addensano però sull’orizzonte regionale. La giunta Nisticò inciampa e cade. Si assiste a un ribaltone che porta il centrosinistra puntellato da tanti transfughi al governo della Regione. Luigi Meduri è il nuovo governatore.
Lucio Sconza viene ghigliottinato e al suo posto subentra Mario Santagati, proveniente dalla Calabria Ultra. Il Palazzo della Sanità diventa una vittima sacrificale, un capro espiatorio da offrire al proprio sponsor. Non si tratta di un fatto puramente simbolico ma il frutto di una valutazione di interessi concreti dei ribaltonisti.
Bisogna difendere i locatori degli immobili che avevano cominciato ad agitarsi temendo di perdere la preziosa “minna” che dà tanto buon latte sonante. In secondo luogo (o in primis?) vi sono le cliniche private, che nell’inefficienza si ritagliano una fetta importante della “magna torta” sanitaria e le famose strutture miste dove si annidano interessi pubblico-privati.
Seguendo la logica andreottiana viene insistente un pensiero maligno. Gentile e Adamo hanno certamente remato contro al Palazzo della Sanità. E così si affonda il Palazzo sotto il profilo della regolarità delle procedure annullando la gara di appalto.
Santagati porta a casa il risultato sfruttando una serie di cavilli ma un bel giorno accade il miracolo.
L’avvocato Benedetto Carratelli invia un decreto ingiuntivo per la prima parte relativa a lavori (mai effettuati) e un giudice non togato glielo riconosce: circa due miliardi e mezzo delle vecchie lire.
Il miracolo, però, non si ferma qui. Perché nello stesso giorno, per la precisione nel primo pomeriggio, la Banca Nazionale del Lavoro di Cosenza, tesoriere dell’Asl, acconsente al sequestro della cifra.
Con quei soldi, Gatto paga il progettista Mario Occhiuto, l’avvocato Benedetto Carratelli e gli rimane comunque un bel gruzzolo in tasca.
Inizia così una infinita querelle giudiziaria. L’Asl si affida a Oreste Morcavallo, avvocato amministrativista di grido e vince sia davanti al tribunale che in Corte d’Appello. Gatto (e quindi anche Occhiuto e Carratelli) dovrebbe restituire i soldi all’Asl e così, con la mediazione di Franco Petramala (che conosce tutti e sa come agire), nel frattempo salito al trono dell’Asl, si trova una conciliazione prima di finire in Cassazione.
L’Adifin srl si impegna a cedere il terreno di proprietà ovvero il suolo dove sarebbe dovuto sorgere il Palazzo, tra via Popilia e viale Falcone, più una serie di altre somme a risarcimento di quei due miliardi e mezzo di vecchie lire, oggi 5 milioni di euro a causa non solo della rivalutazione dopo il cambio di moneta ma anche per la crescita esponenziale degli interessi maturati in quasi vent’anni di querelle giudiziaria.
Di quella conciliazione si era persa traccia fino a circa due anni fa, quando il tribunale ha dato ragione all’Asp. Ora il problema è su quali immobili rivalersi. Ma chi ha preso i soldi ed è scappato adesso ha qualche pensiero (se possibile…) in più. Tanto – prima o poi – anche i “gattopardi” tireranno le cuoia o verranno cacciati a calci in culo. Non può essere sempre Natale per questi truffatori conclamati. E la giustizia, anche se è lenta, prima o poi arriva.
(una serie di spunti sono stati tratti da articoli di Oreste Parise su Mezzoeuro)