Paolo Romeo, Peppe Scopelliti e il “secondo sacco di Reggio”

Da qualche tempo con una faccia di bronzo degna di miglior causa, Peppe Scopelliti, già presidente della Regione Calabria e sindaco di Reggio, condannato in via definitiva, dopo aver scontato la pena, sta girando in tour la nostra regione (e non solo) paventando addirittura un suo “ritorno” in politica. Di conseguenza, cerchiamo di ricordare – per quello che possiamo – il curriculum di questo signore. 

Milioni di euro destinati ai lavori di manutenzione edile di Reggio Calabria transitati nelle tasche di imprenditori privati e società che non avevano nemmeno i mezzi per eseguire i lavori. “Un ‘pactum sceleris’ – ha detto il comandante provinciale della Guardia di Finanza, col. Flavio Urbani – sottoscritto dalla politica deviata, mafiosi e imprenditori corrotti”. E’ la sintesi fatta dagli investigatori dell’inchiesta che proprio 4 anni fa di questi tempi (3 ottobre 2019) aveva portato agli arresti domiciliari otto imprenditori reggini per bancarotta fraudolenta per il fallimento della società partecipata Multiservizi. Oltre agli arrestati, nell’inchiesta ci sono anche diversi indagati, tra i quali Giuseppe Scopelliti, sindaco di Reggio dal 2002 al 2010 ed ex presidente della Regione Calabria, condannato in via definitiva a quattro anni e sette mesi di reclusione per irregolarità nei bilanci del Comune di Reggio riscontrate tra il 2008 ed il 2010. Condanna che Scopelliti ha finito di scontare in carcere in regime di semilibertà. Insieme a lui nel patto anche Paolo Romeo, il vero deus ex machina della politica deviata calabrese e non solo. 

“Milioni di euro – ha detto il procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri – sono finiti nella disponibilità dei conti privati dei soci, anziché essere destinati al miglioramento delle infrastrutture cittadine. E il tutto avveniva in mancanza assoluta di preoccupazione di eventuali controlli, con ingegnosi passaggi di meccanismi fraudolenti e spregiudicati di cui godevano anche imprese collegate a cosche mafiose. Il patrimonio di Multiservizi e Gestione servizi territoriali veniva distratto e dissipato in favore di imprese collegate ai Cozzupoli, con l’elargizione di consulenze, senza un riscontro di tali impegni. Un meccanismo che portava spesso ad un’unica conclusione, in palese conflitto di interesse: far confluire ai Cozzupoli e ai Tibaldi quanto più possibile danaro destinato all’esecuzione di opere pubbliche in beneficio dei cittadini e del Comune di Reggio Calabria.

Procedure illegali che sono emerse dal lavoro minuzioso della Guardia di finanza attraverso l’analisi delle relazioni della curatela fallimentare delle società coinvolte. E in questo quadro, emerge il riconoscimento fisso dell’8% sugli affari a Giuseppe ‘Pino’ Rechichi, già coinvolto nel tentativo di omicidio ai danni del boss della ‘ndrangheta Antonino Imerti, a metà degli anni ’80, all’esplodere della seconda guerra di ‘ndrangheta tra lo stesso Imerti, sostenuto dai Condello-Serraino, e i De Stefano, che provocò oltre settecento morti ammazzati tra la città di Reggio Calabria e la sua provincia”.

Secondo gli inquirenti, Rechichi rappresentava con le sue società – la Gst e la Rec.Im. srl – gli interessi delle cosche di ‘ndrangheta capeggiate dai boss Giovanni Tegano e Carmelo Barbaro. Il procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni, che ha coordinato l’indagine, ha parlato di “un’organizzazione diretta essenzialmente a truffare il Comune. Il secondo sacco ai danni di Reggio, dopo il decreto degli anni ’90 – ha sottolineato Dominijanni – grazie ad un drenaggio scientifico di somme destinate al bene comune caratterizzato da passaggi di fondi pubblici per oltre 11 milioni di euro, finiti nella disponibilità di conti privati, grazie alla totale assenza di controlli da parte dell’ente”. Eppure c’è ancora qualcuno che osanna questi signori. Povera Calabria nostra!