Pier Paolo Pasolini, l’incontro “rimandato” con gli Arbereshe e le vicende poco poetiche del “cane arbereshe”

Pier Paolo Pasolini, l’incontro “rimandato” con gli Arbereshe e le vicende poco poetiche del “cane arbereshe”

di Adriano D’Amico

Nella notte tra il 1° ed il 2 novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini, comunista eretico, come titola a piena pagina l’Humanitè in questi giorni per ricordare uno dei più grandi intellettuali italiani del 900, viene assassinato al lido di Ostia su mandato di gruppi neo fascisti che pensavano di punirlo per le sue idee e le sue opere.

Il 21 ottobre di quell’anno, 11 giorni prima, quindi, Pasolini era stato a Calimera, nella grecìa salentina, in quella che sarà la sua ultima uscita pubblica, in una giornata organizzata dallo studioso appassionato di storia greca Rocco Aprile; in quella circostanza Pasolini aveva fatto una promessa: «Tornerò e farò un film su Calimera che diventerà famosa in tutto il mondo”; al termine della lezione sul “Volgar’ eloquio” tenuta quella mattinata nel Liceo Palmieri di Lecce, Pasolini aveva accolto la proposta di ascoltare il griko a Calimera, un piccolo paese di 6 mila abitanti, dalla voce di chi si impegnava a tenerlo in vita; passando, nel giro di qualche ora, dall’atmosfera “accademica” cittadina al contesto popolare della vita di provincia; erano gli anni in cui l’interesse per quella lingua minoritaria, per le lingue minoritarie in generale, si stava risvegliando nel Salento ed in tutta Italia.

Proprio sulle questioni grecaniche, era stato pubblicato da Giannino Aprile il volume di canti popolari scritti in griko I Traùdia; i primi gruppi popolari cominciavano a formarsi e ad esibirsi, e studiosi, antropologi e giornalisti conducevano ricerche sul campo per recuperare tradizioni, usi e costumi grecanici; qualcosa di simile accadeva tra gli arbereshe della provincia di Cosenza: a San Demetrio Corone, ad esempio, era nato il gruppo Zjarri, ad opera di Giuseppe Faraco, che lo stesso nome aveva dato alla rivista mensile; si cominciava a parlare di Radio Libera Arbereshe, l’emittente libera ed indipendente d’Arberia; insomma, una vera e propria scoperta; tra i tanti intellettuali che aveva sfornato il nostro Liceo, in pochi, pochissimi, capirono che la questione identitaria, la più seria che potevamo porre, passava attraverso la valorizzazione della nostra lingua parlata, l’arbereshe.

Quel 21 di ottobre del 1975, né l’amministrazione comunale, né la scuola di Calimera erano state disposte ad ospitare Pasolini a causa, sostengono alcuni testimoni, dei pregiudizi che accompagnavano la sua persona; l’idea di portarlo nell’ex fabbrica di tabacchi Murrone in via Majro era stata di alcune maestre che tenevano il doposcuola in quei locali.

In quell’occasione, nell’ex fabbrica di tabacchi di Calimera, insieme a tanti intellettuali salentini e non solo c’era il “nostro” Giuseppe Faraco, Zoti Giusep; erano anni bui per la lingua arbereshe, considerata un dialetto, come il griko, parlato dalla minoranza grecanica salentina.

Probabilmente Pasolini fece la stessa promessa a Zoti Giuseppe, tra i pochi intellettuali veri che l’Arberia annoverava in quel tempo; uomo senza pregiudizi, né pre concetti; anche lui comunista, ma lontano dalle glorie borghesi ed operaie, dalle sezioni di partito, che il poeta aveva incrociato nel periodo universitario, a Roma, colpito dal suo argume, tanto da citarlo nel libro “Le belle bandiere”, un dialogo aperto, senza sconti, schietto e coinvolgente, visto ancora oggi come una delle più profonde e affascinanti rappresentazioni del nostro bel paese.

Purtroppo l’incontro con gli arbereshe non ci fu, il poeta non poté mantenere la sua promessa perché venne ucciso dalla canaglia fascista, dal pregiudizio; ma anche dall’isolamento che indirettamente gli aveva creato l’espulsione dal PCI, avvenuta nel 1949, e la perdita del suo posto da insegnante: “Malgrado voi resterò comunista”, disse il poeta; che trent’anni dopo, e purtroppo troppo tardi, e comunque dopo la sua morte, venne definita da Berlinguer “un errore grave”; che però non venne mai rimosso, né risolto dall’impianto burocratico del più grande partito comunista d’Europa, il PCI.

Venticinque anni dopo gli arbereshe non lo ricordano quell’episodio, né ricordano il poeta nel 25° anniversario della morte; sono interessati da altre questioni, hanno nuovamente demandato tutto alla politica,  mettendo da parte gli intellettuali, meglio, pensando di averlo fatto.

I risultati, ahi noi, sono davanti agli occhi: rispetto al Festival della Canzone Arbereshe, unica e sola grande manifestazione di tutela della nostra unica peculiarità, la lingua, il nulla o quasi! Nessuna novità concreta per l’insegnamento dell’arbereshe nelle scuole; poca cosa la “novità” delle trasmissioni in lingua nelle reti pubbliche, a mio avviso abbastanza mistificatoria per la nostra lingua e più remuneratoria per “mamma RAI”.

Ecco, allora, che torna alla ribalta il cane arbereshe, quel cucciolo di cane le cui gesta io e Luigi Fabbricatore Strigaro abbiamo narrato dai microfoni di Radio Arbereshe International; a lui sono interessate quasi tutte le amministrazioni comunali nostrane; ai finanziamenti pubblici che si possono percepire se ti inventi di sana pianta una presunta peculiarità; e di questi tempi ne abbiamo viste tante, dalla pizza arbereshe, alla cucina arbereshe e così via alle tante nomination per le più incredibili furbate di sindaci senza scrupoli, buone per fare cassa a discapito di un progetto culturale serio; a discapito di iniziative serie e mirate quali, appunto, il Festival. Per questa ragione, non è utile ricordare Pasolini tra gli arbereshe; ricordarlo, significa scrollarsi di dosso le politicizzazioni di facciata e costruire, tutti insieme – gli arbereshe – un processo realmente identitario, che probabilmente prescinde dalla stessa idea di patria originaria.