Politiche 2018: “Vi racconto tutta la verità sulla candidatura del Cinghiale jr”

Egregio direttore,

la ringrazio per la possibilità che dà a noi calabresi di esprimerci liberamente.
Le scrivo questa lettera perché deve essere vero che in campagna elettorale la memoria di qualcuno si accorcia. Io, invece, che certe cose tendo a non dimenticarle, voglio raccontarle.

Conosco Tonino Gentile da quando eravamo giovani, lui più di me, Mancini lo chiamava “Tonino ‘u furbo”, o peggio, “u maligno”, e credevo di avere un rapporto di amicizia sincera e disinteressata con lui. Con un “se hai bisogno, chiamami” concludeva salutandomi ogni volta che ci vedevamo in campagna elettorale. Ed io, da idealista che sono, conoscendo bene il fratello Pino, tutta un’altra stoffa, credevo nel valore di quelle parole, sebbene non mi fosse mai capitato di metterlo alla prova.

Poi, qualche anno dopo, com’è strana la vita, in un momento di disperazione, mi tornò in mente quella frase amica e provai a chiamarlo, ma il numero era cambiato e prima di rintracciarlo passarono cinque mesi. Mi fissò un appuntamento a Roma, sotto al Senato.
Arrivai in anticipo e aspettai fermo lì, sotto il sole, per ben cinque ore e mezza. Mai scese e mai mi fece salire. Naturalmente durante l’attesa non rispose più al telefono, né ai messaggi. Era buio, quando finalmente mandò un suo emissario a dirmi che l’appuntamento era saltato, perché il Senatore aveva avuto un altro impegno urgente.

Mi domandai mille volte, dove avevo sbagliato per meritare quel trattamento. Non arrivò mai neanche una telefonata di scuse e da quel momento si sono interrotti i nostri rapporti.
Negli anni, ho scoperto, però, di non esser stato l’unico, che ciò che è accaduto a me, è successo anche ad altri “amici” e che, il sottosegretario furbacchione, il vizietto non lo ha mai perso, cambia semplicemente volto in prossimità delle elezioni.
Sentendo qualche intervista del giovane figliuolo, Andrea, mi è parso di capire, che il senatore stia tramandando sia la poltrona che l’atteggiamento costruito e poco affidabile.

Infatti, il delfino, inizia ogni intervista sempre con la stessa solfa – ho chiesto al mio partito due cose: di candidarmi nella mia regione e di candidarmi in un collegio uninominale -. Grandi, grandissime cazzate. Non parla, infatti, di ciò che è accaduto poco più di un mese fa, quando il padre sgomitava per fargli avere un posto blindato in un collegio plurinominale della Lombardia, dove è stato trattato a pesci in faccia. Alla fine, quel posto è riuscito a ottenerlo nel listino di Palermo, costretto, però ad accettare la candidatura all’uninominale, contando, come sempre, di andare a bussare a tutti quelli, e in Calabria sono tanti, “ca vonnu bene a compa’ Pinuzzu”.
Quindi, altro che Calabria e uninominale!

Chiacchierato figlio di cotanto padre, residente a Roma da anni, vero protagonista dello scandalo della rotativa bloccata, che ha comportato l’appellativo di “cinghiale” e le dimissioni del padre da sottosegretario, componente di alcuni dei più prestigiosi Consigli d’amministrazione nazionali, naturalmente, tutti incarichi arrivati per nomine politiche (non perché sia un genio rispetto a tanti altri), ripete fino alla noia delle sue radici, dell’attaccamento alla sua terra e che bisogna ricostruire il rapporto di fiducia tra eletto e cittadino e gira in lungo e in largo per farsi conoscere.

A me, spero come a tanti che hanno conosciuto il padre, questo suo dire fa pensare. La lingua batte, dove il dente duole o, forse, meglio, excusatio non petita, accusatio manifesta?
La tecnica della disponibilità e della rassicurazione, quella finta, a termine, che scade col finire della campagna elettorale, l’abbiamo sgamata in tanti, ognuno sulla propria pelle.
Allora, una rinfrescata alla memoria non ci sta male, perché poi, per rivedere padre e figlio, in giro per la loro amata terra, ci vorrà la prossima elezione.

Lettera firmata