Genova-Cosenza. Chi è Antoniozzi, il faccendiere di Alemanno in “Affittopoli” paracadutato in Calabria dalla Meloni

GENOVA – «La malattia di Alberto era sotto gli occhi di tutti e tu hai invano supplicato aiuto per una tragedia ampiamente annunciata che ti ha costretta, impotente, ad assistere all’assassinio di Alice da parte del proprio fratello impazzito». Lo scrive la senatrice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, in una lettera indirizzata ad Antonella Zarri, la mamma di Alice Scagni, uccisa dal fratello Alberto a Genova ìl 2 maggio 2022.

«Un femminicidio assurdo, senza scopo e senza movente, dove chi avrebbe dovuto intervenire si è voltato dall’altra parte. Ora ti trovi di fronte ad una Giustizia ostile perché hai osato dire ciò che è ovvio e che tutti noi pensiamo». La lettera aperta della vicepresidente della commissione Giustizia arriva 24 ore dopo la polemica sollevata per il taglio della lista testimoniale presentata dagli avvocati dei genitori. Il presidente della Corte d’assise aveva motivato rifacendosi a una interpretazione del ruolo delle parti civili che «si devono limitare alla condanna e al risarcimento danno».

«Lo Stato, nonostante tutti i vostri sforzi tesi a chiedere aiuto, si è voltato dall’altra parte e ora è contro di voi perché avete osato chiedere giustizia. Non mi sarei espressa su questo se non avessi letto i numerosi interventi del vice capogruppo di Fdi alla Camera Antoniozzi. ‘Scagni non è matto, questa è una narrazione inaccettabile’. Tutto questo perché se i poliziotti avessero fatto il loro dovere oggi Alice sarebbe ancora con voi e Alberto sarebbe curato come gli è dovuto».

«Cara Antonella – prosegue la lunga lettera di Cucchi -, posso dirti in tutta coscienza ma con grande amarezza che ti sei scelta l’avvocato sbagliato. Lui ha fatto la differenza in tanti processi importanti, compreso il mio. Ora leggo che secondo i giudici del tuo processo, «la parte civile assolve una funzione sommamente vicaria rispetto a quella svolta nel giudizio dal pm». Mi basta questo per dirti, Antonella, di cambiare avvocato. Non me ne voglia Fabio (Anselmo, ndr) che è anche il mio compagno. Posso solo dirti che in tanti processi come quello, per esempio, per l’uccisione di Federico Aldrovandi pm e giudici non la pensavano certo cosi. Non hanno mai costretto Fabio a chiedere soltanto i danni – sottolinea Cucchi – . Superfluo, credo, parlarti anche del mio, anzi dei miei processi. Dall’alto di 13 anni per 160 udienze e 16 gradi di giudizio posso dirti che Fabio ha, agli occhi di qualche magistrato, la colpa di essere solo un avvocato. Questo non è accaduto durante gli anni in cui, per la mia famiglia e per tutti noi, lo Stato si è riscattato mettendo in campo magistrati capaci e onesti e determinati nel raggiungere la verità. Se Fabio si fosse dovuto limitare soltanto a chiedere soldi per risarcimenti nei primi 6 anni di battaglie giudiziarie, ed essere ristretto a quel ruolo “sommamente vicario” rispetto a pm che non volevano vedere quelle verità che poi loro stessi colleghi avrebbero dimostrato, i casi Aldrovandi e Cucchi sarebbero stati “casi di negata giustizia”».

Fin qui Ilaria Cucchi, il cui intervento – pubblicato tra gli altri da Il Secolo XIX – ha creato parecchi problemi a questo “mezzo cristiano” di Alfredo Antoniozzi, che non ha perso certo tempo per replicare grazie al suo scodinzolante “ghost writer” (ché lui non è capace neanche di fare una “o” con un bicchiere) e che noi conosciamo bene perché è di origine cosentina ed è stato eletto deputato ovviamente in Calabria ma solo perché “paracadutato” dall’alto da Giorgia Meloni. E con alle spalle un “curriculum” che è tutto un programma. 

Tutti sapevano che Fratelli d’Italia avrebbe vinto certamente le elezioni. Giorgia Meloni e i suoi fratelli di ‘ndrangheta qui in Calabria hanno fatto il “botto” come in tante altre regioni a dimostrazione del degrado morale della politica.

In Calabria toma toma cacchia cacchia la Meloni ha messo a segno una spregiudicata operazione calata dall’alto ovvero l’inserimento nel listino “bloccato” alla Camera per la Calabria di tale Alfredo Antoniozzi, che vive a Roma da decenni ma che – guarda un po’ il caso – è originario ed è addirittura nato a Cosenza. Il fatto è che Antoniozzi non è proprio un politico “illuminato” e nel corso della sua “carriera” è pure incappato in una disavventura giudiziaria che praticamente l’ha lasciato in mutande. Ma evidentemente Giorgia ha “ordinato” di riabilitarlo e in queste vicende si sa che Fratelli di ‘ndrangheta in Calabria è particolarmente efficace. Tanto efficace che Antoniozzi alla fine è stato puntualmente “paracadutato” al secondo posto del listino della Camera per la Calabria dietro Wanda Ferro, che corre pure al collegio uninominale di Catanzaro, dove è già certamente vincente avendo come avversaria… la vicesindaca di Catanzaro, nota oca giuliva del Pd. E dunque Antoniozzi è stato eletto senza colpo ferire. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di far capire alla gente di tutta Italia chi è questo mezzo cristiano di Alfredo Antoniozzi. Iniziando dalle origini, noblesse oblige… 

CHI ERA DARIO ANTONIOZZI Chi è abbastanza “vecchio” ricorda suo padre Dario, esponente di spicco della Dc. noto per essere stato anche ministro in quota Andreotti. Nato a Rieti nel 1923, cresce a Cosenza, dove il padre Florindo si era trasferito per ragioni di lavoro (è stato per anni direttore generale della Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania) e dove si stabilisce definitivamente. Eletto per la prima volta alla Camera nel 1953, ha conservato il seggio fino al 1980. Vicesegretario politico della Dc e leader del partito in Calabria per lungo tempo, è stato sottosegretario e Ministro per circa vent’anni, nel dicastero del turismo e spettacolo con il III Governo Andreotti, ai beni culturali ed ambientali nel IV Governo Andreotti, beni culturali e ricerca scientifica nel V Governo Andreotti, e trascorrendo lungo tempo al Ministero dell’Agricoltura. Membro del Parlamento Europeo fin dalla sua istituzione, nel 1979 ottenne un ottimo successo personale alla prima elezione diretta dell’Assemblea di Strasburgo. Allora era Ministro dei Beni culturali, ma si dimise per dedicarsi all’Europa. Indebolito dalle lotte intestine interne alla Dc e dall’avversione esplicita di Riccardo Misasi, esce di scena dalla politica attiva e si specializza in conferenze di alto livello, in tutto il mondo, sull’Europa ed il significato di questa scelta, essendone stato tra l’altro uno dei principali fautori fin dai primissimi albori. E’ morto il 25 dicembre del 2019.

CHI E’ ALFREDO ANTONIOZZI

Se Dario Antoniozzi ha svolto il suo “compitino” di politico della Prima Repubblica al servizio dei poteri forti della Balena Bianca in quota Andreotti scontrandosi inevitabilmente col “gran visir” Riccardo Misasi, il figlio Alfredo sta vivendo la sua parabola politica nella “feccia” del centrodestra massomafioso. A differenza del padre, lui è nato proprio a Cosenza nel 1956, tre anni dopo la prima elezione alla Camera del papà. Ma dopo le scuole dell’obbligo, il rampollo s’è trasferito a Roma per laurearsi in Giurisprudenza e iniziare a fare politica anche lui, ci mancherebbe altro…

Coordinatore provinciale di Forza Italia di Roma fino allo scioglimento del partito sancito con il congresso nazionale del Popolo delle Libertà il 27 e 28 marzo 2008, è stato assessore al Comune di Roma con Alemanno sindaco ai tempi di Mafia Capitale (ed è da lì che sono arrivati i guai giudiziari). Nel 2001 si era già candidato alla Camera nel collegio Roma Val Melaina sostenuto dalla Casa delle Libertà, ottenne il 43,6% dei voti e venne sconfitto dalla rappresentante dell’Ulivo, tale Carla Rocchi. Ma si è rifatto subito “rinverdendo” i fasti del papà andreottiano e così nel 2004 viene eletto al Parlamento Europeo per la lista di Forza Italia nella circoscrizione centro, ricevendo 60.000 preferenze e mettendosi al sicuro per il resto della sua vita di parassita, visto che non svolge altra attività se non quella di “politico” sulle spalle degli italiani.

Nel 2008 viene presentato dal neonato partito del Popolo delle Libertà come candidato presidente della Provincia di Roma; per promuovere la propria candidatura sottoscrive con Gianni Alemanno (di nuovo candidato a sindaco di Roma, poi eletto) e gli altri leader del Popolo della Libertà un Patto con RomaAl primo turno Antoniozzi ottiene il 37% dei consensi, approdando al ballottaggio in programma per il 27 e 28 aprile, nel quale con circa 950 000 voti, arrivando ad oltre il 48,5% dei voti, viene sconfitto di poco dal candidato del centro-sinistra Nicola Zingaretti, che prese circa un milione di voti. Come “premio” Antoniozzi viene reclutato nella squadra di assessori di Gianni Alemanno, che invece ha vinto le elezioni ed è diventato sindaco di Roma.

Sono gli anni di Mafia Capitale tanto per capirci, e Antoniozzi è stato assessore al Patrimonio, alla Casa e ai Progetti speciali del Comune di Roma per circa quattro anni, fino al 20 febbraio 2012, giorno in cui Alemanno azzera la giunta. Antoniozzi in particolare rassegna le dimissioni per favorire l’ingresso di un assessore di sesso femminile, necessario al rispetto della normativa delle quote rosa. Ma aveva fatto in tempo a “infilarsi” in una lunga vicenda giudiziaria, diventata famosa col termine “Affittopoli”, che ha avuto il suo epilogo nel 2018 e che ha visto la condanna di Antoniozzi per danno erariale da parte della Corte dei Conti. Questo è il pezzo che gli dedica il Corriere della Sera nell’agosto del 2018.

Dall’equo canone alla pigione libera, andando veloci sullo scivolo di una concessione pubblico-privato mai fatta rispettare, se non lasciata libera di lasciare nelle casse comunali i pochi euro di affitto mensile per una casa con vista su Fontana di Trevi o al Colosseo. La parabola del patrimonio immobiliare del Campidoglio, arrivata al punto di triste notorietà col titolo di «affittopoli», trova un punto fermo nella sentenza della corte dei Conti che condanna l’assessore della giunta Alemanno, Alfredo Antoniozzi (80mila euro), e la Romeo gestioni (un milione) per danno erariale. Un punto di partenza per ricostruire una vicenda più complessa.

Il post equo canone, dunque. Scrivono i giudici contabili: «In quasi 20 anni (1998-2018, ndr) il Comune non è mai riuscito a definire una disciplina propria delle locazioni degli immobili del patrimonio disponibile ed ha di fatto tollerato che gran parte fosse occupato in modo abusivo». Ne hanno beneficiato privati e associazioni, partiti e locali di ristorazione chiamati a risponderne separatamente per la quota di loro competenza. Parliamo di circa 836 immobili ad uso abitativo e commerciale sui 27.666 dati in locazione. Le indagini del pm Ugo Montella hanno preso a campione i 574 situati nel centro storico, riscontrando che per 230 di questi invece di un regolare contratto di locazione sussisteva una indennità di occupazione che nei 10 anni esaminati (2006-2016) si è tradotta in una mancata valorizzazione che oscilla tra 1,1 e 18,5 milioni di euro. Di fatto, gli amministratori pubblici «si sono disinteressati della gestione del patrimonio», lasciato tra contratti non stipulati e canoni di affitto non determinati «in uno stato di sostanziale, generale e diffusa occupazione abusiva». Per altri 72 immobili non sono mai state avviate le pratiche di recupero delle morosità pari a tre milioni di euro.

In questo contesto, particolare attenzione merita il periodo 2008-2012 in cui Antoniozzi è stato assessore al patrimonio. È sotto la sua gestione, infatti, che vengono interrotte le trattative con gli inquilini per i rinnovi contrattuali, senza che nessun passo venga intrapreso per dismettere (e valorizzare) gli immobili locati. E questo nonostante fosse già disponibile una relazione sulle criticità del settore.

Antoniozzi, scrivono i giudici, è così protagonista di «un comportamento omissivo gravemente colposo». E a lui, non al personale dell’assessorato, vanno ascritte le responsabilità di questa inerzia in quanto era di sua competenza dare gli indirizzi politici, peraltro presenti nel programma elettorale di Alemanno. Assolti quindi i funzionari del suo assessorato, Walter Palumbo e Lucia Zambrini, e l’altra ex assessore Lucia Funari, che ne prese il posto ma restò in carica pochi mesi.

Quanto alla Romeo gestioni, la corte parla di «un rapporto concessorio che ha di fatto spogliato l’amministrazione comunale di qualsivoglia potere inerente alla gestione degli immobili, nonché sui significati oneri economici gravanti sulla amministrazione capitolina». È in virtù di questa concessione, firmata nel 2005 dall’allora sindaco Walter Veltroni e decaduta nel 2015, che l’inerzia della società privata nel riscuotere quanto dovuto «si ripercuote negativamente sulle entrate del Comune, non solo privandolo di effettive disponibilità di cassa, ma anche producendo evidenti criticità nella fase programmatoria del bilancio».

Capito di cosa stiamo parlando? Insomma, il soggetto che la Meloni ci vorrebbe affibbiare, al netto delle sue molto lontane origini cosentine, non è certo un “campione” di onestà e di correttezza.

Per concludere la biografia del Nostro, c’è da ricordare che nel frattempo si era fatto rieleggere al Parlamento Europeo con 109.319 preferenze nel 2009 iniziando dunque a tutti gli effetti la carriera di “paracadutista politico”…

Il 16 novembre 2013, con la sospensione delle attività del Popolo delle Libertà, aderisce al famigerato Nuovo Centrodestra guidato da Angelino Alfano e dai fratelli Gentile in chiave calabrese. Ricandidato alle Europee del 2014 per la lista NCD-UDC, raccoglie 19.349 preferenze nella Circoscrizione Centro arrivando quarto e non risultando eletto. Alle Europee del 2019 si presenta con Fratelli d’Italia ma con 19.796 voti presi nella Circoscrizione Centro si piazza in quarta posizione non risultando eletto… Poi la Meloni gli dà un incarico interno nel partito ma insomma, a questo punto della “carriera”, a 66 anni suonati, il figlio di Antoniozzi aveva bisogno di un nuovo “paracadute” politico e ha pensato bene di farsi calare dall’alto nella Calabria Saudita. La leva del paracadute ha funzionato alla perfezione, il rampollo di Antoniozzi è stato eletto e adesso dobbiamo sorbirci non solo le sue “lezioni” sulle droghe leggere in tandem con il Gattopardo procuratore del porto delle nebbie ma anche le sue elucubrazioni mentali per difendere i suoi amici poliziotti impelagati fino al collo nel caso Scagni. Il che è sinceramente un po’ troppo…