Politiche 2022. Così la Meloni pensa(va) di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia, ma prima ci vuole un Congresso

La leader Giorgia Meloni pensa di togliere la Fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia? Il contrassegno che caratterizzava il “vecchio” Movimento Sociale Italiano guidato da Giorgio Almirante potrebbe avere i giorni contati. O forse i mesi. Perché è vero che la presidente di Fdi sta lavorando per rassicurare l’elettorato, i mercati e gli altri paesi sull’abiura del fascismo. Ma per la definitiva operazione di pulizia ci vuole un Congresso. E quindi tutto è rimandato a dopo le elezioni del 25 settembre. Come del resto fece colui che la volle ministra “della Gioventù” (sic), ovvero Gianfranco Fini. La “svolta di Fiuggi” con l’abbandono ufficiale del vecchio simbolo arrivò il 27 gennaio del 1995. Quando l’allora Msi aveva già partecipato al primo governo guidato da Berlusconi.

La svolta di Giorgia

Ad attaccare ieri sulla fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia è stato il centrosinistra. «Se la togliesse sarebbe meglio», ha detto il ministro del Lavoro Pd Andrea Orlando. «Meloni dovrebbe spiegare perché nel simbolo di Fratelli d’Italia compare la fiamma tricolore, raffigurazione del regime che risorge dalla tomba del dittatore. Non basta dichiararsi non-fascisti, la nostra Costituzione è antifascista. Non fate i furbi per un voto in più», ha aggiunto l’ex presidente della Camera Laura Boldrini. E un invito alla svolta è arrivato anche da Roberto Jonghi Lavarini, il Barone Nero dell’inchiesta di Fanpage un tempo apprezzatissimo dai leader del centrodestra: «Meloni ha cambiato idea, diventando molto velocemente liberale, conservatrice, europeista, atlantista? Legittimo, ci mancherebbe, allora tolga definitivamente la fiamma tricolore missina e neofascista dal simbolo del suo nuovo partitone sistemico moderato».

Va ricordato che all’epoca della nascita di Fratelli d’Italia la fiamma dell’Msi nel simbolo non c’era. Repubblica racconta oggi che soltanto dopo un’operazione politica durata mesi e con la riconquista dello spazio di manovra nella fondazione di Alleanza Nazionale è tornata sul vessillo. Quel simbolo era nato nel 1947 insieme al Movimento Sociale di Almirante. Tra 1994 e 1995 arrivò l’operazione di Fini – ispirata dalle tesi del professor Domenico Fisichella – che voleva far uscire dallo stato di ghettizzazione politica gli eredi di Almirante. Il nome e il simbolo esordirono alle elezioni del 1994. Poi l’anno dopo il congresso della svolta, con l’uscita della corrente di Pino Rauti e la nascita del Movimento Sociale Fiamma Tricolore.

Via il simbolo della Fiamma?

Ora però è il momento dell’ultimo strappo. E Giorgia medita di togliere anche quel simbolo retaggio del passato. E a rischio critiche. Tutta la svolta parte dalla conferenza programmatica del partito dello scorso aprile. All’epoca Melon annunciòi il lancio del «grande partito dei Conservatori», di quelli che «non hanno mai creduto alla favoletta che per essere presentabili si deve andare a braccetto con la sinistra», quelli che non hanno «cambiato idea, bandiera, governo» per interesse rimanendo per l’intera legislatura all’opposizione. Il cambio del simbolo è l’ultimo passo.

Il Messaggero racconta che di toglierlo se ne parla all’interno del partito già da un po’. D’altro canto la leader è entrata in politica nel 1998, diventando a 21 anni consigliera provinciale proprio di An. Togliere la fiamma, secondo Mario Ajello, accelererebbe il percorso verso quel Partito dei Conservatori Italiani sull’impronta del gruppo europeo dei conservatori e dei riformisti (di cui Giorgia è presidente). Anche se un nome del genere avrebbe una sigla un po’ spiazzante. Ma aiuterebbe a saldare i legami con i Repubblicani degli Stati Uniti. A via della Scrofa hanno anche ben presente che un passo del genere non si può fare alla leggera. Per questo ci vuole un Congresso.

L’abito moderato e il Pnrr

La leader di Fdi da settimane sta vestendo l’abito moderato e atlantista di chi vuole rassicurare Washington Bruxelles. Sul dossier ucraino non ha mai espresso dubbi nello schierarsi con l’Ue e l’Occidente. E a luglio aveva fatto tappa anche a Strasburgo per un faccia a faccia con la presidente Roberta Metsola. Ma l’Ue, al momento, resta alla finestra. Nessuno nella Commissione ha la minima intenzione di entrare in tackle sulla campagna elettorale. Intanto però si apre anche la polemica sul Pnrr. Tra i Dem in queste ore rimbalzano i tre voti di astensione che, il 15 maggio e il 23 luglio del 2020 e il 9 febbraio del 2021 Fdi (a Strasburgo nel gruppo Ecr) espresse sul Next Generation Ue.