Politici, massoni e mafiosi. Ecco come hanno spolpato la sanità in Calabria

Il boss della sanità privata calabrese Potestio a spasso con Occhiuto e i suoi scagnozzi

Ci è capitato spesso, in questi ultimi anni, ma soprattutto in queste ultime settimane, di riprendere vecchi articoli del giornalista comunista per antonomasia Enrico Fierro. Campano di Avellino, dopo la stagione dell’impegno politico militante nel Pci, era arrivato al quotidiano comunista l’Unità, dove divenne inviato speciale. Poi una lunga esperienza a Il Fatto Quotidiano. E, poco tempo prima di morire, il passaggio al Domani. Amava la Calabria e per la pubblicazione del volume “La Santa – viaggio nella ‘ndrangheta sconosciuta” aveva ricevuto il Premio Globo d’Oro 2007/2008, il Premio Paolo Borsellino 2007 ed il Premio Itaca 2008 promosso dall’associazione universitaria Ulixes.

Il suo ultimo direttore, Stefano Feltri, lo ricordava così: «Enrico ha dimostrato in una carriera lunga e integerrima che per un giornalista l’indipendenza è prima di tutto una condizione dell’animo, una tensione verso la giustizia. E che quindi si può essere politicamente impegnati e intellettualmente indipendenti, aggressivi e implacabili con chi è potente e lo merita ma, al contempo, compassionevoli con chi è caduto». Era stato, infatti, strenuo difensore di Mimmo Lucano, unico cronista ostinato a seguire tutte le fasi del processo di Locri. Enrico che amava e comprendeva di cinema ne aveva fatto uno spettacolo teatrale, “Riace social blues”.

Fierro ha sempre raccontato i territori con i piedi ben saldi sul posto, non dalle stanze delle redazioni romane. Non ha mai risparmiato giudizi urticanti sui mali della Calabria e non ha mai perso la tenerezza nel narrarla. A chi ha conosciuto Enrico per motivi professionali resterà l’esempio di un giornalista vero, lontano dai compromessi, dedito al suo mestiere. Nel 2007 il documentario (accompagnato a un volume con lo stesso titolo) “La Santa. Viaggio nella ‘ndrangheta sconosciuta”, realizzato con a Ruben Oliva, ha aperto uno squarcio sul salto di qualità compiuto dai clan calabresi in un’era in cui la narrazione nazionale era quasi ferma a coppole e lupara.

Oggi “ripeschiamo” un articolo di Enrico Fierro del 2020 quando aveva preso forma l’idea di chiamare Gino Strada, nominandolo commissario, per risollevare le sorti della sanità calabrese.

POLITICI, MASSONI E MAFIOSI. ECCO COME HANNO SPOLPATO LA SANITA’ IN CALABRIA

di Enrico Fierro 

L’obiettivo è Gino Strada. Circola il suo nome. L’opinione pubblica si divide. La destra gioca col fuoco. Manda avanti Nino Spirlì (“ma chi cazzo è Gino Strada? Vada a scavare pozzi in Africa”). In tanti soffiano su una cenere antica pronta a riaccendersi, puntando su quello che l’antropologo Vito Teti definisce un insensato “sovranismo” calabro.

Rivolta bipartisan

L’obiettivo che si nasconde dietro la “rivolta” bipartisan della politica calabrese, è un altro, il controllo della sanità pubblica. La vera Fiat della Calabria con un giro d’affari di 3,5 miliardi all’anno, il 75% del bilancio regionale, e 20mila dipendenti. Un bacino elettorale enorme. Ospedali e aziende sanitarie sono stati l’osso che per anni è stato spolpato da una vorace compagnia di politici, circoli massonici e ‘ndrangheta.

Vale la pena ricorrere a un vero “esperto” per capirci meglio, Mimmo Crea, proprietario di cliniche e politico che ha girato partiti e schieramenti. Era consigliere regionale e voleva a tutti i costi diventare assessore alla Sanità, Ecco la sua graduatoria del valore, in termini economici e di potere, degli assessorati. “La sanità è prima. L’Agricoltura e forestazione seconda, le Attività produttive terza; in ordine di budget settemila miliardi… con la Sanità. Sono stato chiaro? Oppure parlo arabo?”. Era il 2005 e l’onorevole, poi arrestato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, non parlavo arabo. La sanità pubblica in Calabria è una grassa mucca da mungere. E chi nel corso degli anni ha tentato di rimettere conti e diritto alla salute dei calabresi in ordine, è stato fermato. Doris Lo Moro nella sua vita è stata un magistrato, impegnata in politica con il Pci e le sue diramazioni successive, ha fatto l’assessore alla sanità con la giunta di Agazio Loiero. Mise mano ai bilanci di ospedali, frugò nei cassetti e rischiò di collassare quando scoprì la storia dei 400mila falsi assistiti. Medici di base avevano iscritto nei loro registri ammalati inesistenti, oppure chiedevano i rimborsi per quelli veri, ma lo facevano due volte. Un giochino da 30 milioni di euro all’anno. Tutto finito in una bolla di sapone e l’assessore decise di cambiare mestiere… (ultimamente aveva provato a rientrare come sindaco di Lamezia in quota… Tridico e sappiamo tutti com’è finita, ndr). 

Benvenuti all’inferno

Santo Gioffrè è un medico, scrittore per vocazione ha pubblicato libri con Mondadori e Rubbettino. Appassionato uomo di sinistra, nel 2015 è stato nominato commissario dell’Aso di Reggio Calabria. Un inferno, dove i bilanci non venivano presentati da anni. “Ora i calabresi protestano e su molte cose hanno ragione, ma devono chiedersi chi ha sfasciato la Sanità, chi ha sprecato, chi ha rubato e fatto ingrassare la mafia”, ci dice. Appena insediato Gioffrè boccia il bilancio approvato due anni prima. “Non c’era chiarezza sulle entrate e sulle uscite”. Mette mano nel groviglio di interessi con aziende farmaceutiche, laboratori e cliniche private, e scopre qualcosa che va oltre la sua immaginazione. Fatture pagate ai privati die o tre volte per gli stessi beni e servizi forniti. “Bloccai il pagamento di sei milioni a una clinica privata. Fu difficile ma scoprii che il credito vantato era già stato pagato. Contro avevo i privati, le banche e grosse società finanziarie che acquistavano crediti, ma chiesi ugualmente di restituire il soldi”.

Il meccanismo che Gioffrè scoprì da solo (aveva chiesto specialisti al Ministero delle Finanze, ovviamente mai arrivati) era semplice: “Mancava tutto, finanche le minute delle spese, avevo capito che per non consentire la ricostruzione dei crediti, si facevano sparire le carte”. Insomma, la Asp di Reggio Calabria era una banca meravigliosa per i creditori, e garantiva rendimenti fino al 9% all’anno. In 5 mesi lo scrittore-commissario ricevette attacchi da politici di vario schieramento, compreso i parlamentari calabresi dei Cinque Stella. La sua vicenda arrivò fino finanche all’Anac di Cantone, per una sua presunta incompatibilità. Al grido di “onestà, onestà” fu costretto alle dimissioni (oggi ha detto sì alla candidatura di Tridico… ma non è tra i più convinti e grazie a Dio meanche si candida, ndr). 

Massimo Scura è un ingegnere settantacinquenne originario della Calabria, ma vissuto sempre tra Piemonte e Molise. Nel 2015 il PD lo chiama a ripianare il debito della sanità calabrese. Subito entra in rotta di collisione con Mario Oliverio (Pd), allora presidente della giunta regionale, lo incontra una volta sola e poi basta. Scura è poco amato dalla politica. Lo attaccano, fioccano le interrogazioni parlamentari, gli scaricano addosso decenni di inefficienze. La verità, va dicendo nei convegni, “è che esiste un’altra ‘ndrangheta più subdola, che si è insinuata nel tessuto della sanità pubblica paralizzandone i centri nevralgici”. Tre anni dopo si dimette, suo successore diventa il generale Saverio Cotticelli. Quello che doveva fare i pieni anti Covid e non lo sapeva…

Fin qui Enrico Fierro, che spiegava benissimo cosa accadeva – e cosa purtroppo accade ancora – nella sanità calabrese. Per chiudere questa riflessione, ci piace riportare le parole dirette di Gino Strada, che non le mandava certo a dire ai boss della sanità privata.

“Io non abolirei la sanità privata – ha detto il fondatore di Emergency – ma dico che la sanità privata deve svolgere il proprio ruolo con i propri soldi e non con quelli della sanità pubblica. Il legame è da spezzare. Questo è un discorso che vale in Calabria ed a livello nazionale. La pandemia ha messo a nudo il re, si è scoperta la fragilità estrema del sistema sanitario italiano che è andato a impoverendosi per l’ingresso massivo del business dei privati: la medicina è diventata come un supermercato. Quanto é accaduto ha suscitato in molti la consapevolezza che è indispensabile tornare alla sanità pubblica. Il bilancio della sanità deve essere della sanità pubblica, il ministro deve essere il ministro della sanità pubblica non della salute. Il primo passo è fare una netta separazione tra sanità pubblica e il resto. Se si rompe quel legame ci si accorgerà che diminuiranno sensibilmente gli investimenti di chi vuole fare soldi, anche attraverso intrallazzi con la politica e la malavita. È un passo che, però, non può essere fatto da un medico, ma riguarda la politica. In Calabria come in tutta Italia”.