Ponte sullo Stretto a passo di gambero: sì al progetto e varianti “libere”. Ma i cantieri già slittano

di Carlo Di Foggia

Fonte: Il Fatto Quotidiano

E’ una combo che ricorda gli anni della Legge Obiettivo sulle grandi opere del governo Berlusconi. Il progetto del ponte sullo Stretto fa un passo avanti, ma la presunta apertura dei cantieri già slitta da luglio almeno all’autunno prossimo. Già che c’era, il governo ha pure prolungato la deroga per evitare che le varianti delle grandi opere “strategiche” debbano ripassare dal Comitato per la programmazione economica (Cipess) e, quindi, dalla Corte dei conti: tra queste opere rientrerà ovviamente anche il ponte di Messina.

Ieri il Cda della società Stretto di Messina, la concessionaria pubblica che deve realizzare l’opera, ha approvato la Relazione di aggiornamento al progetto definitivo del 2011. “Dopo i molti ponti “Messina Style” fatti nel mondo, è il momento di realizzarlo da noi” ha esultato l’Ad Pietro Ciucci, storico pasdaran dell’opera che Salvini ha richiamato dalla guida della società resuscitata per decreto dalla liquidazione imposta dal governo Monti nel 2012. Soddisfatto anche il ministro delle Infrastrutture: “L’intenzione è aprire i cantieri entro l’anno”, ha detto Salvini. Finora, però, l’obiettivo dichiarato era luglio…

Il progetto, approvato da un apposito comitato scientifico, Conferenza dei Servizi e al Cipe, dovrà pure passare una nuova Valutazione di impatto ambientale (quella vecchia non è mai stata superata). L’ok è arrivato a tempo di record: la relazione è stata consegnata il 30 settembre dal consorzio Eurolink, capitanato dal colosso Webuild, cioè il giorno dopo la firma dell’atto integrale tra Ciucci e il costruttore propedeutico alla procedura. Circostanza talmente bizzarra da finire in un esposto alla procura di Roma presentato dai leader di Pd, Verdi e Sinistra.

La relazione aggiorna il progetto a una sola campata più lungo del mondo, già fermato 12 anni fa perché considerato uno spreco di risorse (costo previsto oggi: 15 miliardi). Tra le varie cose, Sdm spiega che è stata effettuata un’analisi costi-benefici che dà un risultato “ampiamente positivo”, pari a “un saggio di rendimento interno del 4.5%”, cioè “sopra il valore minimo del 3%”. L’analisi, risulta al Fatto, è stata realizzata dai professori Oliviero Baccelli e Roberto Zucchetti del Certet della Bocconi, gli stessi autori e lo stesso centro di ricerca già coinvolti nelle analisi positive sul Tav Torino-Lione e usate nel 2019 per criticare il possibile stop all’opera (Baccelli è finito nel Cda di Telt, la società che deve realizzare il Tav ed entrambi sono stati soci di una società consulente di Telt). I due hanno anche redatto la precedente analisi del ponte del 2012. Sdm non fornisce nessun testo, ma finora l’unica Acb non commissionata dal costruttore è quella pubblicata a fine 2023 dall’economista dei trasporti Francesco Ramella: è negativa per 3,6 miliardi e con un rendimento dell’1,8%. Per arrivare al risultato di Baccelli e Zucchetti il traffico dovrebbe presumibilmente crescere di circa il 3% ogni anno per i prossimi 30 anni.

Numeri ottimistici pure sui posti di lavoro creati dal cantiere. Nel 2022 Salvini aveva parlato di “120 mila occupati veri creati”, poi ridimensionati a “50 mila”. Sdm spiega che tra diretti e indotto saranno “120 mila unità di lavoro annuo”, che non corrispondono agli occupati ma al lavoro svolto in un anno da un operaio a tempo pieno. Tradotto: anche a prendere quei numeri per buoni. parliamo di 17 mila occupati l’anno per 7 anni, non per forza aggiuntivi.

Come detto, se approvato dal Cipe (obiettivo entro giugno), il progetto potrà rientrare nella nuova deroga appena approvata con un emendamento governativo al decreto Milleproroghe. In sostanza il testo proroga di un altro anno la possibilità di non risottoporre al Cipe le varianti ai progetti delle grandi opere strategiche purché inferiori al 50% del valore del contratto: basterà l’ok della stazione appaltante.

La relazione tecnica spiega che il motivo è ridurre i tempi per i progetti visto che per delibere del Cipe nel 2019 (anno prima della modifica) servivano in media 170 giorni, un dato che però non torna. La relazione annuale del 2020, per dire, parla di 89 giorni, scesi a 79 nel 2022. Altra motivazione: spesso si tratta di piccole modifiche, anche di importo inferiore all’1% eppure la stessa relazione ammette che dal 2019 hanno usufruito della deroga 39 varianti dal controvalore di vari miliardi di euro. Tutto sottratto pure alla validazione della Corte dei Conti. Forse il vero obiettivo della modifica…