Ponte sullo Stretto: ecco perché il pilone reggino, in area sismica, non si può costruire per legge

di Isabella Marchiolo

Fonte: Reggio Today (https://www.reggiotoday.it/cronaca/ponte-stretto-divieto-legge-zona-sismica-pilone-calabria-non-edificabile.html)

L’ennesimo colpo di scena per il ponte sullo Stretto arriva dall’ultimo consiglio comunale aperto di Villa San Giovanni. L’assemblea di ieri era incentrata sugli espropri (procedura rimasta aperta nonostante il progetto sia nell’impasse della Via sospesa) ma l’amministrazione ha anticipato un tema che potrebbe essere cruciale, rendendo la grande opera illegittima perché affetta da un divieto di legge. In poche parole, almeno per la sua metà calabrese, il ponte sullo Stretto viola l’obbligo di non edificabilità previsto dal programma zone instabili tracciato sulla base di un’indagine dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) e poi recepito anche da una legge della Regione Calabria. L’area è proprio quella su cui poggerebbe uno dei piloni, che corrisponde a una faglia sismica attiva: l’allarme era emerso da uno studio dell’università di Catania citato anche da Anac durante un’audizione nell’iter di approvazione del decreto Ponte e poi era giunta la scioccante prova fotografica del satellite Copernicus, che mostrava i movimenti della terra nella W-Fault, ovvero nel tratto tra Cannitello, Villa San Giovanni e Campo Calabro e in un punto tra Gallico e Catona.

Adesso c’è anche uno studio specifico dell’ingegner Paolo Nuvolone, che il comune di Villa depositerà a breve nel nuovo pacchetto di osservazioni al ministero. L’esperto però va oltre i dati relativi alla faglia e fa riferimento alla legge regionale n. 40 del 31 dicembre 2015 sull’urbanistica, l’uso e la tutela del territorio, che ha integrato la 19 del 2002. Tra l’una e l’altra c’è stato, nel 2009, il terremoto dell’Aquila, evento i cui effetti catastrofici avevano spinto la Regione Abruzzo a sollecitare la protezione civile per la costituzione di un gruppo di lavoro con l’obiettivo di individuare una mappa delle faglie attive e capaci e mitigare il rischio con precise previsioni di trasformazione e per aree edificate o da edificare.

Con Dpcm del 21 aprile 2011 è stata nominata una commissione tecnica per la microzonazione sismica con esperti e rappresentanti degli enti territoriali, autrice delle linee guida secondo cui nelle zone con faglie attive, le infrastrutture devono essere delocalizzate o sottoposte a specifici programmi di verifica. Una prescrizione – che sarebbe stata poi recepita dal Programma Zone Instabili – introdotta per evitare il ripetersi tragedie come quella dell’Aquila, rafforzando la sicurezza con l’ampliamento delle tre fasce di attenzione, suscettibilità e rispetto duecento metri per lato delle faglie (una misura raddoppiata rispetto al passato). Nel caso del territorio reggino di interesse del ponte sullo Stretto, i punti di ancoraggio, il pilone, il pontile e gli svincoli si trovano proprio all’interno della faglia che originò il sisma del 1908. Ed è una zona in cui le opere esistenti e non delocalizzabili sono soggette a un particolare regime di interventi mentre è tassativa l’inibizione di nuove costruzioni.

Se Pietro Ciucci aveva già risposto a questi dubbi ribadendo che l’infrastruttura per l’attraversamento stabile dello Stretto è testata per resistere al più grave terremoto che potrebbe generare la W-Fault, la questione ora si aggrava perché la sola ubicazione del ponte sarebbe di per sè fuorilegge. Si potrebbe obiettare che c’è una colpevolezza scusabile, legata alla data del primo progetto, precedente alla normativa in questione (l’indagine Ispra è del 2015) – sebbene gli studi sulle faglie all’epoca fossero già stati effettuati e una coincidenza vuole che nella commissione per la microzonazione sismica ci sia stato Mauro Dolce, oggi membro del comitato scientifico della Stretto di Messina. Che è lo stesso organismo che ha dato parere favorevole al progetto definitivo del ponte pur disseminandolo di raccomandazioni, molte delle quali riguardano la sismicità della zona.

L’amministrazione villese ha annunciato il deposito dello studio di Nuvolone presso la commissione ministeriale per la Via, ma sullo sfondo ci sono i mesi in surplus che, scaduti i termini ordinari, la società dell’ad Ciucci ha chiesto per rispondere alle oltre 200 integrazioni richieste dal Mase. Un tempo che potrebbe essere utilizzato anche per rimuovere gli ostacoli attorno alla zoma sismica, anche se non è chiaro in che modo. Per aggirare il divieto di legge bisognerebbe spostare il pilone reggino o dimostrare che quella faglia non è attiva come invece sostengono ben due studi e l’occhio di un satellite. L’unica certezza di questo nuovo intricato rebus è che il progetto definitivo è vecchio e superato, da qualunque lato lo si guardi. Dopo le osservazioni ambientali e paesaggistiche e quelle su sicurezza, materiali e spesa, ora anche sotto l’aspetto della legge. Smentendo quanto affermato da Ciucci (che aveva minimizzato le integrazioni dovute definendole per lo più di dettaglio), sembra che sia un progetto quasi da tabula rasa. E se così fosse, i tempi (e i costi) per rifarlo ex novo non sono ovviamente compatibili con la prima pietra che il ministro Salvini vuole posare entro la fine dell’anno. Con una preoccupazione speculare a quella dei residenti di Villa San Giovanni: da una parte si temono cantieri aperti e poi lasciati a vegetare sfregiando il territorio, dall’altra che la costruzione del ponte non riesca a partire neanche questa volta e resti, come da quasi cinquant’anni, una leggendaria utopia.