Gli inesistenti vantaggi economici del ponte sullo Stretto di Messina: inquadramento e discussione dei presunti benefici in termini di turismo, mobilità occupazione
di Domenico Marino, docente di Politica Economica presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria
L’argomento più forte con cui viene giustificata la costruzione dell’infrastruttura «ponte sullo Stretto» è quello della riduzione dei costi di trasporto. Si aggiunge a questo che il trascinamento «keynesiano» innescato dall’opera dovrebbe produrre benefici per l’economia delle due regioni coinvolte. Viene infine affermato – anche se ciò, come dimostrato, non avverrà – che le entrate derivanti dalla gestione dell’infrastruttura potrebbero consentire di remunerare il ca- pitale investito nella costruzione.
Il primo aspetto che bisogna trattare è connesso alla fattibilità economica dell’infrastruttura. Il concetto di fattibilità economica è profondamente diverso dal concetto di fattibilità tecnica.
È infatti indubbio (anche a non voler considerare il fatto che il “salto dimensionale” del progetto in esame abbia spinto molti esperti a sollevare pesanti dubbi sulla realizzabilità del progetto sotto esame) che opere simili siano state realizzate in altre parti del mondo. Il fatto, però, che un’infrastruttura di attraversamento stabile sia stata realizzata in altre parti del mondo non giustifica di per sé l’esportabilità automatica di quella esperienza in altri contesti. Se un manufatto ha prodotto effetti in qualche parte del mondo, non è affatto detto che produrrà gli stessi effetti in ogni parte del mondo. Bisogna evitare quindi il rischio di trasformarsi in apprendisti stregoni che giocano con la tecnica tentando di riprodurre esperienze di successo.
Un modo corretto di vedere le cose non può che partire da due considerazioni di fondo:
– un’infrastruttura inutilizzata altro non è che una cattedrale nel deserto; non produce nessun effetto in termini di sviluppo, se non il semplice trascinamento «keynesiano» nella sola fase di costruzione;
– se, come è vero, le infrastrutture devono essere funzionali al territorio e al suo modello di sviluppo, un eccesso indiscriminato di offerta di dotazione infrastrutturale non è un fatto positivo. E, ammesso che non sia anche dannoso, in termini di costo/opportunità i costi prevalgono perché il solo spreco delle risorse utilizzate per la sua realizzazione costituisce elemento strutturalmente antieconomico.
Partire dal paradigma «tutte le infrastrutture che servono, solo quelle che servono» sposta il problema della costruzione del ponte in un ambito che viene frequentemente evitato dai fautori di questa infrastruttura. In tale ambito il problema non è tanto la fattibilità del ponte, quanto piuttosto la sua utilità e funzionalità al modello di sviluppo dell’area dello Stretto. E questo spostamento di paradigma ci porta a sviluppare le nostre considerazioni sull’utilità del ponte.
Tradotto in soldoni: gli ipotetici benefici del ponte potranno risarcire i calabresi e i siciliani dall’aver visto distrutto il loro territorio e dall’essere costretti a vivere sotto un ponte? A tal proposito, con i dati alla mano, vanno fatte le seguenti considerazioni.
La riduzione dei tempi e quindi dei costi di trasporto sul- le lunghe distanze è sicuramente trascurabile. Si otterrebbe un risultato migliore se si facessero interventi cento volte meno costosi sui tratti autostradali e sulle linee ferroviarie del Mezzogiorno.
L’economia delle due regioni, Calabria e Sicilia, come quella del Mezzogiorno d’Italia, non ha dimensioni tali da giustificare un investimento come quello del ponte. In altre parole, l’opera non sarà mai in grado di remunerare il capitale investito, a causa delle ridotte dimensioni degli scambi economici attivabili. Inoltre, questi flussi di merci hanno ormai preso altre vie di trasporto (le cosiddette «autostrade del mare») più veloci, economiche ed ecologiche e l’ipotesi di una “diversione modale” a seguito della eventuale costruzione del ponte appare poco convincente e non supportata da adeguata valutazione.
Quanto al trascinamento «keynesiano», esso vale per ogni euro di spesa pubblica. Famosa è la risposta di Keynes alla domanda su come si sarebbero dovuti impiegare gli operai durante la recessione degli Anni Trenta: «Prima fategli scavare delle buche, e poi fategliele riempire».
Se, quindi, questa ricetta estrema funziona in casi estremi, gli anni seguenti ci hanno insegnato che anche il trascinamento «keynesiano» deve obbedire alla legge del costo/opportunità, e che la spesa pubblica, per produrre effetti duraturi in termini di sviluppo, deve essere oculata ed efficiente.
A questo punto, atteso che i benefici ipotizzati con la realizzazione del ponte fanno riferimento a occupazione, mobilità e attrazione di flussi turistici, abbiamo gli elementi per affrontare nel dettaglio tre questioni:
– il Ponte porterà benefici indiretti legati al turismo?
– il Ponte porterà benefici alla mobilità?
– il Ponte porterà benefici in termini di occupazione?
Vediamo di affrontarle una per una.
Il ponte porterà benefici indiretti legati al turismo?
Questa ipotesi va indubbiamente valutata con molta attenzione, perché, anche alla luce delle considerazioni fatte, la redditività e la convenienza economica dell’opera dipendono in larga parte dal contributo della voce «turismo». Riguardo a questo aspetto vanno fatte alcune premesse.
È indubbio che l’opera «ponte» costituirà un’attrazione turistica: occorre però valutare attentamente l’entità di questo incremento. Dal punto di vista turistico, lo Stretto di Messina rappresenta di per sé un’attrattiva.
L’altissimo valore estetico del paesaggio, lo scenario unico di un mare inserito dentro una conca illuminata dal sole, la straordinaria ricchezza in termini di biodiversità dei fondali, le acque limpide, l’evocatività storica e mitologica del sito sono tali che il prestigioso National Geographic ha definito in Agosto 2022 Capo Peloro (il sito sul versante siciliano invaso dai cantieri e dall’installazione delle mastodontiche torri del ponte) come prima tra le 12 più belle spiagge d’Italia (https://www.nationalgeographic.co.uk/travel/2022/08/12-of-thebest-beaches-in-italy).
Sono questi aspetti di straordinaria attrattività che il ponte verrà a pregiudicare irrimediabilmente, allontanando dall’area tutto il turismo naturalistico e ambientale che in prospettiva costituisce per l’area uno dei flussi turistici più consistenti.
Rimane da dimostrare che l’opera infrastrutturale porti a un incremento del turismo.
La moderna impostazione delle analisi dei flussi turistici mette in evidenza il ruolo dell’organizzazione dell’offerta turistica rispetto alla dotazione delle bellezze naturali. La prevalenza dell’organizzazione dell’offerta sulla dotazione turistica è ormai consolidata. Il caso portato come esempio dai fautori del ponte, quello della Torre Eiffel, non regge alla prova dei fatti. Parigi è infatti una città dall’offerta turistica molto diversificata, nel cui contesto la Torre Eiffel assume un ruolo importante. Se mancasse questa opera puntuale non si avrebbero ricadute economiche.
L’infrastruttura in quanto tale, cioè, non porta necessariamente a un incremento dei flussi turistici, se non migliora l’offerta turistica complessiva e questo tipo di intervento non è di per sé generato dal ponte e richiede risorse adeguate e differenti, la cui efficacia è indipendente dall’eventuale esistenza della struttura di attraversamento stabile dello Stretto che, come detto, influisce negativamente sull’attrattività ambientale e paesaggistica della zona.
In sintesi il ponte non accresce, anzi fa diminuire il potenziale turistico dell’area dello Stretto.
Il Ponte porterà benefici alla mobilità?
Anche in relazione a questo punto non esistono evidenze a favore dell’infrastruttura. Se facciamo riferimento in primo luogo alla mobilità interna, quella cioè con origine e destinazione all’interno dell’area urbana dello Stretto, l’infrastruttura ponte produrrebbe un peggioramento delle condizioni attuali di accessibilità.
Spostarsi da Reggio Calabria a Messina o viceversa diventerebbe estremamente oneroso in termini di tempo e di pedaggio. Rimarrebbe peraltro lo spazio per un servizio di trasporto sia di tipo passeggeri, sia di tipo Ro-Ro fra le due sponde dello Stretto.
Il ponte marginalizzerà quindi i due centri urbani di Reggio Calabria e Messina, portando a una diminuzione delle attività economiche. Altro che grande Metropoli dello Stretto! La distanza fra i centri urbani di Reggio Calabria e Messina sarà di oltre 30 km maggiore rispetto all’attuale percorrenza dall’ingresso del ponte, considerando la distanza necessaria per raggiungere lo svincolo partendo dal centro urbano e a quella necessaria per raggiungere in arrivo il centro urbano.
Inoltre, il tempo stimato per raggiungere il centro di Reggio Calabria partendo dal centro di Messina sarà di circa un’ora, sostanzialmente equivalente a quanto si impiega oggi, con una spesa di pedaggio equivalente al costo dell’attraversamento per nave, cui va aggiunto il costo della percorrenza stradale, ben più che doppia col ponte rispetto all’attuale.
Sulla mobilità di lunga distanza, essenzialmente di tipo merci, rispetto alla situazione attuale si avrebbe un risparmio di circa 10-20 minuti in condizioni di normalità. Non si dimentichi che le situazioni di congestione sono possibili anche in presenza dell’infrastruttura di attraversamento (ad esempio in presenza di incidenti o di particolari condizioni meteoro- logiche); è quindi possibile porre a confronto soltanto situa- zioni di normalità.
In sintesi, il risparmio di tempo prodotto dall’infrastruttura non è sufficiente a dimostrare la convenienza economica dell’investimento per i motivi seguenti.
– Un investimento 100 volte inferiore all’investimento nel ponte, diretto al potenziamento delle infrastrutture auto- stradali e viarie in Sicilia, produrrebbe un risparmio in ter- mini di tempo di percorrenza di circa 30-60 minuti.
– Il risparmio di 10-20 minuti è ininfluente sui tempi di percorrenza nel caso di lunghe distanze.
La dimensione economico-sociale ottima per il trasporto delle merci è costituita dal trasporto su lunga distanza via mare, che ha costi privati e sociali notevolmente inferiori alle altre modalità.
Per tutti questi motivi la convenienza dell’infrastruttura ponte in relazione alla mobilità nell’area non è assolutamente sostenibile.
Un ulteriore elemento problematico concerne il pedaggio che dovrà essere pagato per accedere al ponte. Dal punto di vista economico, questo aspetto può essere rappresentato come un classico problema di road pricing (determinazione del prezzo da far pagare per l’utilizzo di un’infrastruttura viaria). Essendo il ponte un’infrastruttura soggetta a congestione, l’obiettivo del pedaggio dovrebbe essere quello di limitare l’accessibilità. Per questo scopo il pedaggio dovrebbe essere eleva- to, anche perché la fattibilità dell’opera nel suo complesso di- pende da un importo elevato del pedaggio. In tal modo, però, il pedaggio diviene un sistema di regolazione dei prezzi. Un pedaggio elevato, in presenza di una domanda elastica al prezzo (ovvero sensibile alle sue variazioni), produce uno spostamento molto accentuato verso altre modalità di trasporto, in particolare verso il trasporto marittimo. Il pedaggio si tradurrebbe poi, per i calabresi e i siciliani, in una tassa di attraversamento che peserebbe principalmente su di loro.
Il ponte porterà benefici in termini di occupazione?
Tra i motivi più forti che i fautori della costruzione del ponte sullo Stretto portano a sostegno della costruzione è la considerazione che da quest’opera dovrebbe derivare un beneficio in termini di occupazione.
In due Regioni che hanno tassi di disoccupazione fra i più elevati d’Europa, contribuire a crea re posti di lavoro è senza dubbio un’opera meritoria.
L’attuale ministro delle Infrastrutture Salvini ha più volte dichiarato che il ponte contribuirà a creare occupazione diretta per almeno 100.000 posti di lavoro stabili nell’area dello Stretto (erano 40.000 nel 2010 con il vecchio progetto!), lasciando intuire che i numeri dell’occupazione indiretta saranno altrettanto rilevanti.
Purtroppo le cose non stanno esattamente così.
In primo luogo, va messo in evidenza il fatto che la stima di 100.000 posti lavoro creati non si riferisce all’opera a regime. I 100.000 posti di lavoro creati sono il risultato della traduzione in termini di ula (Unità Lavorative Anno) dei lavori di costruzione. Non saranno, quindi, in primo luogo, posti di lavoro stabili, ma posti di lavoro che secondo le stime ottimistiche di durata dei lavori della Stretto di Messina Spa avranno una durata di 5-6 anni. Con ipotesi meno ottimistiche sulla durata dei lavori l’occupazione creata potrà durare 10 anni.
Ma una volta finiti i lavori del ponte questi lavoratori torneranno a essere disoccupati.
Si sta quindi spacciando per occupazione stabile l’occupazione temporanea, e non è questo il solo difetto del trionfalistico annuncio di 100.000 nuovi posti di lavoro. Anche tale cifra, poi, dovrà essere corretta eliminando tutte le lavorazioni che saranno effettuate al di fuori del territorio di Calabria e Sicilia e che quindi influenzerà temporaneamente in modo negativo l’occupazione di quelle Regioni. Ma il vero problema è che a regime il saldo dell’occupazione creata sarà negativo.
Una volta a regime, il ponte avrà prodotto poco meno di 1.000 posti di lavoro stabili, e questo numero sarà inferiore agli esuberi che si registreranno nel settore dei trasporti navali. A regime, quindi, nella migliore delle ipotesi si sposteranno posti di lavoro dal settore marittimo ai servizi connessi con il Ponte, ma con un saldo certamente negativo. Non si riuscirà cioè a coprire gli esuberi per due ordini di motivi. Il primo è che il ponte sarà un sistema di attraversamento maggiormente capital intensive rispetto al sistema di trasporto marittimo. Il secondo è che il progresso tecnologico porterà sempre più verso sistemi di bigliettazione automatizzati, e quindi il numero degli addetti dovrà necessariamente diminuire. Per l’attraversamento del Golden Gate Bridge viene addirittura riconosciuto uno sconto di un dollaro sul biglietto a coloro che usano sistemi di bigliettazione automatica; segno dell’interesse, da parte del gestore, a incentivare l’uso dei sistemi automatici per ridurre i costi di personale.
Neanche i frequenti interventi di manutenzione daranno grandi risultati in ter- mini di occupazione; semplicemente, ad essi saranno addetti i lavoratori oggi impiegati nella manutenzione delle navi.
L’impatto del ponte sull’occupazione diretta, una volta che l’opera sarà a regime, sarà dunque negativo. Ci sarebbe da sperare che il ponte riesca almeno a creare nuova occupazione indiretta. Ma anche su questo versante, a ben guardare, non c’è da essere molto ottimisti.
La marginalizzazione dei centri urbani di Reggio Calabria e Messina avrà come conseguenza il declino dell’attività economica e, quindi, una perdita indiretta di posti di lavoro; solo una parte di essi sarà recuperata dai servizi indiretti che sorgeranno a ridosso del Ponte, ma anche in questo caso il saldo sarà negativo.
Il ponte sullo Stretto porterà quindi nel lungo periodo a un peggioramento dell’occupazione nell’area, che supererà di gran lunga i benefici creati in fase di costruzione. Vanno peraltro inclusi nel computo anche i danni ambientali creati dalla fase di costruzione e di esercizio, che peggioreranno il potenziale turistico dell’area.