Una battaglia su tre fronti per fermare il ponte sullo Stretto, di cui le associazioni ambientaliste denunciano da anni il grave impatto sui territori interessati. Mentre si annuncia l’avvio dei primi cantieri il progetto è sostanzialmente in sospeso proprio per i dubbi sollevati su fattibilità e vincoli ambientali. I danni causati da questa infrastruttura per Greenpeace Italia, Legambiente, Lipu e Wwf Italia sono “innegabili e documentati” e, convinti dell’insostenibilità della megaopera, i gruppi hanno intrapreso diverse azioni legali: un ricorso al Tar, la diffida al Cipess e un reclamo alla commissione europea.
Queste iniziative sono state presentate durante l’iniziativa pubblica intitolata “Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina deve essere fermato per il bene dell’ambiente e delle casse dello Stato”.
Le prescrizioni della commissione evidenziano le gravi lacune di analisi, come la necessità dell’aggiornamento del piano di monitoraggio ambientale per almeno un anno da eseguirsi ante operam per diversi habitat, per la fauna e per le specie migratorie. Per gli impatti a mare si chiedono aggiornamenti di monitoraggi e analisi da effettuarsi per un anno intero sempre ante operam riguardo le comunità planctoniche e sul movimento di pesci e cetacei. La commissione ha fissato ben 62 prescrizioni, riconoscendo che per alcuni siti della Rete Natura 2000 coinvolti non sia possibile escludere che il progetto non determinerà incidenze significative con effetti negativi su detti siti.
Poco più di un mese fa, il 28 febbraio 2025, gli ambientalisti hanno rincarato la dose con una nota al Cipess, con la quale si chiede di rilevare i gravi vizi intervenuti e il mancato perfezionamento delle fasi dell’iter procedimentale per l’approvazione del Ponte. In sostanza si diffida il Cipess dal procedere all’esame della documentazione pervenuta e dal compimento di ogni ulteriore atto finalizzato all’approvazione del progetto.
Rilevano le associazioni: “Dal 2003, anno della prima approvazione, ad oggi, il progetto del Ponte è stato riproposto in diverse occasioni per essere poi accantonato dal governo Monti per motivazioni tecniche, finanziarie ed economiche. Sembrava che l’idea di un progetto insostenibile sotto diversi punti di vista fosse stata finalmente superata, fino a quando il governo Meloni non ha deciso di riesumare il progetto. Ad oggi, però, nonostante i gravi impatti sull’ambiente siano evidenti, non sono state contemplate soluzioni alternative, né risolte le molteplici questioni tecniche, compresi i costi in costante lievitazione (attualmente le previsioni superano i 14 miliardi di euro di spesa)”.
“Il progetto comporta incidenze negative significative sui siti della rete Natura 2000 ai due lati dello Stretto, una delle più importanti rotte migratorie degli uccelli tra Eurasia e Africa. Milioni di uccelli attraversano ogni anno le acque che separano la Sicilia e la Calabria e il Ponte causerebbe la strage di migliaia di individui per collisione e la distruzione degli habitat prioritari. Inoltre, non è mai stata dimostrata la necessità dell’opera rispetto agli obiettivi socioeconomici che si vorrebbero perseguire, né documentato se i benefici attesi siano tali da bilanciare il sacrificio imposto all’ambiente, alla vivibilità dei luoghi interessati e alla finanza pubblica”. Nonostante ciò, con il decreto-legge 35/2023 il governo italiano ha imposto il riavvio delle attività necessarie all’approvazione e alla realizzazione del Ponte, dettando un procedimento autorizzativo speciale e derogatorio contro il quale le associazioni hanno deciso di intraprendere una serie di azioni legali per cercare di sopperire con il diritto al buon senso che sembra mancare su questa vicenda nelle decisioni dell’esecutivo.
“Il governo ha disatteso la normativa comunitaria oltre che i principi di prevenzione e precauzione che sono alla base delle valutazioni ambientali”, hanno concluso Greenpeace Italia, Legambiente, Lipu e Wf Italia. “E’ un’opera che va fermata per il bene dell’ambiente e delle casse dello stato”.