Ponte sullo Stretto, l’ideologo della ‘restanza’: “Per unire il Sud serve altro”

Bologna, 12 agosto 2025

Fonte: Il Giorno 

Antropologo di fama mondiale, saggista e professore emerito, Vito Teti ha coniato un termine che è diventato un concetto universale. Dicesi ’restanza’, ovvero la condizione di chi contrasta lo spopolamento delle zone depresse rimanendo, ma non più con rassegnazione, come fecero i padri, piuttosto agganciandosi al mondo, in un equilibrio di erranza, fughe e di ritorni, grazie agli strumenti della contemporaneità. Lui stesso, in realtà, è un ‘restato’, poiché gira il mondo da anni ma vive ancora a San Nicola da Crissa, il piccolo comune in provincia di Vibo Valentia in cui 74 anni fa è nato.

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Un rendering del Ponte sullo Stretto di Messina

Professore, il Ponte sullo Stretto sorgerà a pochi chilometri da lei. È contento?

“(sorride, ndr) Vede, io capisco le ragioni di chi sostiene che il ponte sia necessario, e non credo neanche siano ragioni meramente ideologiche. Non sono pregiudizialmente ostile. Invito solo a riflettere meglio sul senso dei luoghi e delle persone l’opera si propone di unire”.

Cosa intende?

“L’isolamento dei popoli meridionali, dei calabresi e dei siciliani in questo caso, è frutto anche di scelte dell’uomo. Dagli anni ’50 in poi ogni nuova costruzione di una statale, di una autostrada, la cementificazione di un’area agricola o montanara, anziché unire ha alzato dei muri, rendendo più complesse le comunicazioni interne”.

Non ce l’avrà pure con la Salerno-Reggio Calabria…

“No, certo. Ma nulla è stato fatto, dopo, per ristabilire una connessione laterale, umana e culturale e infrastrutturale tra le aree che separava. Così quell’arteria, senza le necessarie ramificazioni, ha finito per unirci col nord e isolarci tra noi”.

Un cantiere della Salerno Reggio Calabria, iniziata nel 1967

Un cantiere della Salerno Reggio Calabria, iniziata nel 1967

E il ponte rischia di fare la stessa cosa?

“Il ponte certo non servirà a unire Calabria e Sicilia, il sud col sud, l’entroterra con la marina”.

Ostacolerà la restanza?

“Magari non la ostacolerà, ma non incentiverà neppure l’erranza, quell’andare per poi tornare che ne è il contraltare”.

E un’opera di valenza locale, dicono gli studi.

“Eppure io oggi faccio meno fatica ad andare a Torino, Milano, o all’estero, piuttosto che in un comune de Ragusano o del Cosentino. A fine mese dovrò andare in Irpinia, allo Sponz Fest di Vinicio Capossela: sono 5 ore di auto da qui. E se devo andare a Palermo ce ne metto almeno 4. Viceversa, se lo volessi, in un’ora sarei a Bologna da lei”.

Se non è un ponte, dunque, cosa può unire il sud a se stesso?

“Oggi i nostri giovani conoscono il mondo e non il paese di fianco. Una volta le comunità si interrelavano in continuazione. Nascevano scambi commerciali, relazioni umane, perfino matrimoni. Io partirei da quello: dal ricostituire un reticolo culturale e antropologico locale”.

Mica facile: il sud si spopola ormai irreversibilmente.

“Lo ha detto anche un ministro di recente (Tommaso Foti, ndr). Ha detto che lo spopolamento è irreversibile. E dunque? Passiamo all’eutanasia di massa? O cerchiamo una cura nuova?”.

Dia la ricetta.

“La medicina che ho in mente è fatta di ospedali, strade, scuole, centri di ritrovo, occupazione”.

Un’ultima obiezione: già solo col suo rendering, il ponte ha attirato sullo Stretto le attenzioni del mondo.

“Ma la grande opera è l’Italia, non il ponte! La singolarità dello Stretto è in sé una grande opera. Anzi: l’innesto di un’infrastruttura così ingombrante innescherebbe una mutazione antropologica del suo immaginario di cui occorrerà tenere conto. Tra le due sponde dello Stretto passa il Mediterraneo con la sua storia, fatta di partenze e di ritorni, di connessioni e incontri di culture, di lontananze e vicinanze. Un ponte ci passa sopra, modificando l’intera antropologia mediterranea”.

Insomma è contrario.

“Non sono contrario, le ribadisco. Mi domando solo se chi lo ha progettato si sia fermato a riflettere su tutto questo”.