Quando la destra di Scopelliti marciava su Cosenza nel segno del modello Reggio

Nell’autunno dei 2011, dopo che la destra aveva conquistato sia la Regione che la città di Cosenza (con il contributo decisivo della massomafia), Peppe Scopelliti e tutta la destra calabrese organizzarono una “marcia” e una grande manifestazione (con concerto finale) a Cosenza. Un articolo dell’epoca di Michele Giacomantonio spiega alla perfezione quale voleva essere il suo significato e, a quasi dieci anni di distanza, chiarisce anche come si passa dal trionfo alla… galera e all’inevitabile “riabilitazione”, simboleggiata in questi mesi da un tragicomico libro-intervista all’immarcescibile Peppe dal titolo imbarazzante: “Io sono libero”. 

di Michele Giacomantonio 

La marcia su Cosenza che la destra sta organizzando con cura maniacale è molte cose assieme. E’ l’affermazione trionfale di una vittoria ancora recente alle regionali, è il simbolo del controllo quasi completo del territorio, dopo aver espugnato Cosenza la “rossa”, è una estensione del modello Reggio, fatto di esaltazioni e feste, sempre utili a mimetizzare debiti nascosti – quelli del comune di Reggio – e successi mancati alla Regione. Ma a ben guardare è anche una sorta di rivincita. Si guardi il percorso scelto, da piazza Bilotti, una volta piazza Fera, fino a palazzo dei Bruzi. Lo stesso che tentò di compiere, in parte deriso, Gabriele Limido quando al comune sedeva Giacomo Mancini.

Erano gli anni in cui la destra il potere e le poltrone li aveva già conosciuti, era stata al governo del Paese e della Regione, ma Cosenza restava una cosa diversa. Limido era un consigliere regionale del Lazio, fedelissimo di Fini, catapultato in Calabria per certe sue antiche origini da queste parti, mandato a governare la riottosa federazione cosentina. Pensò di ricompattare i colonnelli di qui attorno a una battaglia anti manciniana, destinata a sconfitta certa e un giorno organizzò una manifestazione, subito richiamata, con scarsa fantasia e dubbio gusto, “una marcia sul comune”.  Giacomo Mancini, che era sindaco della città, non se lo filò per nulla e con una alzata di spalle fece sapere che i post fascisti “il comune l’avrebbero potuto guardare con il cannocchiale”.

Gabriele Limido

Era un modo per dire che, almeno fino a quando c’era lui, la destra a palazzo dei Bruzi non ci sarebbe nemmeno andata vicino. Ma significava pure che materialmente la manifestazione si sarebbe dovuta fermare parecchio lontana dalla casa comunale. E così fu: il percorso accordato al corteo rimase vincolato dall’allora piazza Fera a metà corso Mazzini, giusto in vista del municipio. E lì Limido, credendo di fare dell’ironia, diede corpo alla maledizione manciniana. Giunto in vista del comune, stando in testa alla marcia, si fece passare un binocolo e scrutò, come un generale davanti alle sue truppe, il palazzo cui mai sarebbe giunto. Di Limido non sappiamo più molto, se non che successivamente passò con i duri e puri di Storace, ma se qualcuno gli facesse sapere che quella figura un poco buffa sarà presto vendicata, ne sarebbe contento.

Perché magari Scopelliti ignora questa storiella, ma la sua marcia ha il sapore della vendetta. Ovviamente se fosse solo questo sarebbe ben poca cosa. La marcia va ben oltre la soddisfazione della rivincita sulla città che ha tenuto la destra più a lungo ai margini. Si tratta a ben guardare di una manovra tipica del modello Scopelliti, fatto di eventi di distrazione di massa, spesso assai costosi, ma così efficaci. Scegliere Cosenza per la celebrazione del trionfo scopellitiano vuol dire regalare la ribalta e le prime pagine alla città e alla provincia che non solo hanno avuto di meno, ma che addirittura sono state ampiamente impoverite dalle politiche regionali.

Della serie: vi chiudiamo gli ospedali, riduciamo i posti letto,  tentiamo di sottrarvi il denaro per l’edilizia sociale, dirottiamo altrove i fondi, ma qui veniamo a fare una bella festa. Esiste tuttavia un’altra vulgata sulla marcia cosentina e cioè che Scopelliti a Cosenza non ci pensasse proprio e che siano stati gli assessori cosentini a quasi implorarlo di dedicare qualche attenzione alla città dei Bruzi, attenzioni che poi potessero essere rivendute ai cittadini come segno dell’importanza di una città di cui in tanti percepiscono la decadenza politica.Al contrario c’è anche chi sostiene che proprio i colonnelli cosentini della destra avessero preferito un’altra location per la marcia, temendo che potesse rivelarsi una sorta di boomerang. Sia come sia, in entrambi i casi è un segno di fibrillazione dentro il centro destra cosentino. Infatti sia che Scopelliti abbia ceduto alle preghiere di scegliere Cosenza o che abbia implacabilmente resistito alle richieste di desistere dal marciare su sulla città, vuol dire che i vari Gentile, il fido Orsomarso e perfino il sorprendente Mancini (certi cognomi in certe compagnie continuano a destare sorpresa), percepiscono che qualcosa non va per nulla bene nelle scelte di chi guida la Regione. Alla fine, infatti, queste persone i voti li prendono qui e comincia a essere difficile spiegare ai cittadini della provincia più vasta e più popolosa della Calabria perché qui più che altrove si chiudono ospedali, perché l’idea di un nuovo ospedale viene accantonata e ci si deve accontentare di un improbabile ristrutturazione di quello vecchio, perché a Cosenza manca la Pet, mentre a Reggio giungono milioni di euro per realizzarla, perché se non ci fosse stata la decisione del Tar i fondi destinati dalla vecchia giunta Loiero all’edilizia sociale sarebbero stati usati altrove.

E ancora: come raccontare ai cittadini di Cosenza e provincia che per loro non ci sono sconti per l’acqua, mentre per il comune di Reggio invece sì? Insomma spiegare nel dettaglio perché mai la porzione più vasta della regione sia diventata la cenerentola cui imporre sacrifici, in termini di scelte strategiche per lo sviluppo, l’occupazione, l’innovazione, comincia a diventare arduo.Un segno che le cose comincino a mostrarsi nella loro difficoltà viene pure dallo stesso palazzo dei Bruzi, dove la maggioranza, guidata da Mario Occhiuto, affiancato da Katia Gentile, vota la mozione dell’opposizione che chiede conto a Scopelliti della macelleria sociale che viene dai tagli alla sanità nella provincia di Cosenza. Non si è trattato soltanto di una scelta bipartisan, ma dell’impossibilità del centro destra cittadino di continuare a ignorare una realtà che appare sotto gli occhi di tutti e che si comincia a vivere con fatica e irritazione. Di qui la scelta di una bella marcia con concerto finale. Un evento politico- festaiolo, la rappresentazione della politica “giovane”, che mimetizza dietro la spensieratezza il nulla progettuale o peggio una cattiva politica. Per tutto questo Scopelliti ha richiamato al lavoro ogni minuta risorsa, dai grandi leader all’ultimo militante. Qualunque sia la loro opinione sulla marcia, ormai il dado è tratto e ci si mette la faccia o la si perde. Si aspettano ventimila persone, magari sono un obiettivo difficile da cogliere ma la capacità di muovere la gente è collaudata.Pare che Scopelliti abbia sussurrato: “Andiamo lì così non potranno accusarci di essere di parte” e porterà a Cosenza l’allegro modello Reggio.

Certo, Cosenza alla Regione ha rappresentanti potenti, assessori di peso. Se questa parte della Calabria affanna forse la causa sta nella loro inerzia, nel subire il centralismo leaderistico del governatore, nel mancare di progetti e iniziative. O peggio ancora in una rassegnata complicità. Ma a loro va domandato: per Cosenza non c’è nient’altro che una marcia e un concerto?