Quando lo Stato uccide, ha il processo pagato. Chi ha perso un figlio, NO (di Fabio Anselmo)

di Fabio Anselmo 

Il nuovo decreto sicurezza dice di voler proteggere i cittadini, ma rimborsa le spese legali a chi li ha uccisi.
So che è una frase dura, ma riassume bene il concetto contenuto nel decreto:
l’articolo 22 prevede fino a 10.000 euro per ogni fase del processo penale agli agenti coinvolti in procedimenti giudiziari.
Anche se condannati. Anche per reati colposi. Anche se hanno causato danni accertati.
Se fosse stata in vigore in passato, avrebbe avuto effetti clamorosi.
Se il caso Aldrovandi fosse accaduto oggi, i poliziotti condannati per la sua morte avrebbero potuto accedere a rimborsi statali per le spese legali, anche con sentenza definitiva, anche dopo una condanna per danno erariale.

Per le famiglie delle vittime, invece, il nulla più assoluto.
Chi ha perso un figlio continua a dover pagare tutto da solo: processi, consulenze, perizie, anni di udienze.
C’è uno squilibrio evidente: chi fa parte dell’apparato viene protetto, chi cerca giustizia viene lasciato solo, a barcamenarsi tra i debiti fatti per poter vedere giustizia per la propria perdita.
Non è una norma per la sicurezza, è una misura di parte.
Un segnale preciso: chi sbaglia, se porta una divisa, ha comunque lo Stato dalla sua parte.
Uno Stato di diritto non può funzionare così.
Se davvero si vuole tutelare la sicurezza,
si parta dal rispetto per le vittime, non dal sollievo di chi ha commesso un abuso.