Questo blitz s’ha da fare?

Cosenza città di filosofi, santi, accademici, architetti e pentiti. Categorie che insieme ara mazzacorda, ci rendono unici in Calabria. Anche dal punto di vista delinquenziale. In poco più di 5 lustri di storia criminale Cosenza si piazza al primo posto della classifica delle città criminali: 100 e passa pentiti. Canterini di ogni specie e risma. Personaggi che prima di diventare gole profonde, per anni hanno spadroneggiato, vessato, mortificato il cosentino impunemente.

Dagli anni settanta, fino all’inizio degli anni novanta, hanno fatto quel cazzo che hanno voluto, e ancora oggi continuano a farlo. Senza limiti. Negli anni più cruenti della prima guerra di mafia a Cosenza, non si registrano indagini, arresti, prevenzione investigativa. Il tribunale e la procura sembrano vivere su Marte.

Decine e decine di morti senza nessun colpevole, per decenni. Questo è un dato. E’ chiaro che l’impunità non è a gratis. Si paga. Costa tanto. I nostri guappi non possono essere, ne vogliono sentirsi diversi dagli altri, e così, come i loro compari ‘ndranghetisti seri che saggiamente li indirizzano, stringono accordi e patti con pezzi dello stato deviati. E neanche troppo di nascosto. Giudici, poliziotti, politici, malandrini, imprenditori tutti insieme appassionatamente.

La Cosenza degli anni ottanta è un continuo ostentare a sciampagna, fimmini e motociclette. Capizza e tufa. Una pallida imitazione dei rioni e dei night della Roma che assecondò le gesta della banda della Magliana. Massoni e marpioni capiscono subito che Cosenza può essere una oasi felice, e accordarsi con quei rozzi non è cosa difficile. Basta fargli vedere un po’ di guagna. Solo alcuni malavitosi hanno la capacità intellettiva di comprendere l’affare. E come spiegò la buonanima del dottor De Sena, Cosenza diventò la lavatrice di ogni traffico illecito. Per lo più denaro proveniente da truffe allo stato e da ladrocini a finanziamenti vari. Nonché, si apre per “u giru” la possibilità di riciclare il denaro proveniente dalle attività criminali, nel “mattone”. Ecco perchè a Cosenza si deve dire che la mafia non esiste. Bisogna tenere lontani dalla città, sguardi onesti.

Un fa strusciu.

La borghesia politica, economica, sociale, di quegli anni si fa vanto di amicizie pericolose. Sono i tempi del “ma a chini appartieni?”. Ma prima o poi, si sa, il paese dei balocchi ti trasforma in ciuchino. Il troppo storpia. E dopo oltre vent’anni di sciacqua Rosa e viva Agnese, scattano le manette. Ma tale è il patrimonio di conoscenza, da parte dei guappi, degli intrallazzi dei servitori dello stato corrotti, che con loro facevano affari, che subito arrivano le proposte di “pentimento”.

Come a dire: aggiustiamoci, anche se hai ammazzato qualcuno, vessato altri, basta che non fai il nome mio, e dici quello che ti dico, e in galera non ci vai. Ed inizia la corsa a chi si pente per primo. La macchina dei corrotti riparte: avvocati, giudici, poliziotti, politici, servizi, e tutta la fezza possibile, ad operarsi per insabbiare, coprire, ammucciari, screditare. Il piano funziona. A pagare sono solo i duri e puri della mala locale. Gente non condivisibile. Ma per lo meno coerente con la loro idiozia.

Quello che tutti i cosentini si aspettavano non avviene. I politici e i corrotti non vengono neanche sfiorati dall’inchiesta. A parte il “chiacchiericcio”. Eppure tutti avevamo visto giudici, poliziotti, politici, imprenditori e malandrini seduti, a brindare insieme, nelle discoteche e nei locali in voga di quegli anni. I cosentini capiscono che contro certi poteri non si può fare nulla.

Se il tribunale è corrotto. Tutto è corruttibile. Si rassegnano, e come sempre sperano. Di questa lezione, ne fa tesoro la nuova generazione di guappi cosentini, che hanno bene imparato tre cose: 1- coinvolgi sempre un politico nei tuoi affari. Che a sua volta ti presenterà un giudice, un poliziotto, un pubblico funzionario, un imprenditore. In poche parole garantirsi affari e coperture.

2- fai il malandrino e aza guagna finchè puoi.

3- appena ti arrestano pentiti subito. Perché se hai rispettato i primi due punti di argomenti per contrattare ne hai di sicuro.

Facile così fare il malandrino. Da questo però possiamo ricavarne un dato certo, non fosse altro per non tradire una verità storica: il contatto tra questi mondi, politica e ‘ndrine, c’è e c’è stato. Infatti la saga dei pentiti a Cosenza continua.

Proprio poco tempo fa vi abbiamo narrato di verbali di pentiti di nuova generazione, la famiglia Foggetti, ed altri, che raccontano di aver intrallazzato con politici e non solo. Fanno i nomi di Occhiuto, Paolini, Greco, Manna, Sammarco, Principe, Katya Gentile. Dicono di aver ricevuto denaro in cambio di voti e favori vari. Di essersi spartiti affari e appalti. Politici accriccati bene in tribunale, dicono. Gente pesante. Dichiarazioni messe nero su bianco, in verbali di interrogatorio, resi al pubblico ministero dottor Pierpaolo Bruni della procura distrettuale antimafia. Lo stesso che ha chiesto l’arresto, dopo aver scoperchiato il malaffare nel comune di Acri, dell’ex assessore Trematerra. Rigettato dal Gip. Un magistrato sulla cui condotta professionale convergono tutti: una persona onesta che fa il suo lavoro. Anche se dovrà spiegare come mai i suoi verbali li aveva anche il mio fruttivendolo.

Cosa che stabilisce un altro dato certo: le dichiarazioni sono state rese, e sono quelle che avete letto, vergate nero su bianco. Vere o no, vedremo. Ma per i cosentini questa ennesima storia di pentiti che raccontano i loro intrallazzi con giudici e politici, sembra proprio un déjà vu. Sono disillusi, hanno già subito diversi tradimenti dallo stato. Hanno capito che conviene alla mala politica lasciare le cose così come sono. Cambiare, non migliorerà di certo le cose. Non credono più ai salvatori della patria tipo Facciolla.

Sanno bene, i cosentini, che un modo per “accontentare” un giudice , questi ladroni, lo trovano sempre. Non si ribellano a questo perché conoscono la pericolosità di questi individui. Ed è meglio non averci mai niente a che fare. Gente pericolosa. E lo dimostra la loro perenne impunità e la sfacciataggine con cui giornalmente si prendono beffa della legge. La stessa che i cittadini semplici e onesti sono chiamati a rispettare. E guai a sgarrare. Per loro non vige impunità.

La voce che gira per la città sull’imminente blitz, che dovrebbe essere logica conseguenza giuridica di una inchiesta che vede cantare esponenti importanti delle ‘ndrine locali, della procura antimafia è : non succederà niente, arresteranno qualche spacciatore, strozzino, e tutto resterà come sempre. Sono troppo forti, hanno i giudici dalla loro. Sono intoccabili. Insomma, una consapevolezza collettiva della commistione storica e contemporanea tra stato e ‘ndrine, nella rassegnazione dell’immutabilità di questi equilibri. Da qui qualcuno teorizza la “convivenza/connivenza” del popolo.

Possiamo però marcare un’altra certezza: la notitia criminis c’è stata, ed è dovere del magistrato perseguirla. Vedremo da qui a breve se la storia si ripete, o possiamo iniziare a credere di entrare in una nuova fase, politica/giudiziaria della città, in cui i valori e i doveri diverranno di moda. Da qui capiremo se anche la procura antimafia calabrese, appartiene a quell’antimafia danzante, salottiera, ciarliera e intrallazzina, che abbiamo conosciuto nelle cronache degli ultimi anni. E se così è non resta altro da fare come dice il buon Galullo: scappa finchè sei in tempo dalla Calabria.

Giardini del Duglia