Rango, i pizzini e la guardia penitenziaria

Maurizio Rango

Il 41 bis è una barbarie. Su questo non ci piove. Non sono mai riuscito a capire cosa c’entra con la sicurezza del cittadino la possibilità, o meno, di avere in cella qualche libro. Oppure una macchinetta del caffè, o carta e penna. Una violenza gratuita che non rende di certo più sicuri i cittadini. Una tortura inutile su chi già sconta la pena con la massima punizione: la privazione della libertà.

Ci hanno sempre spiegato che vetri, sbarre, perquisizioni, sono necessarie per impedire a boss e picciotti di comunicare con l’esterno. L’unico modo per evitare che gli stessi continuino a guidare i clan, dare ordine, fare affari. Ma, come abbiamo visto nel corso degli anni, anche questa misura si è resa inutile. Perché tanti sono i modi per i boss per comunicare dal carcere con i propri sodali. Uno di questi, che poi è il più sicuro, è corrompere un superiore. Ovvero una guardia penitenziaria. L’unica, che indipendentemente da sbarre e vetri, viaggia libero in ogni sezione del carcere. Speciale compreso. Un’altra figura importante, quasi vitale, per ogni intrallazzo che si rispetti. Uomini dello stato che si vendono ai padrini per denaro. Sono loro i postini. Dei pizzini, dei telefonini, delle mmasciate.

Quella che vi raccontiamo oggi è una storia che evidenzia, qualora ce ne fosse bisogno, come questa commistione esiste anche da noi.

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Siamo nella primavera 2012, carcere di Cosenza. La squadra mobile, coordinata dal dottor Tridico, ha da poco tratto in arresto , in due fasi diverse, quattro persone, si tratta di Mario Esposito, Francesco Ciancio, Maurizio Rango e Ottavio Carolei. L’accusa è pesantissima, omicidio.

La vittima è Francesco Messinetti, deceduto all’ospedale dell’Annunziata il 3 aprile, in seguito alle ferite riportate dopo una violenta aggressione subita sotto casa per un posto auto. Rango, detenuto a Cosenza, cerca di aggiustare la questione, avvalendosi del suo spessore criminale. Ma ha bisogno di comunicare con i familiari della vittima, sia per intimidirli al fine di non fargli rendere dichiarazioni, sia per fargli una proposta “alternativa”.

Il piano è quello di fare passare questo assurdo omicidio per un fatto accidentale. Ma serve la collaborazione della famiglia della vittima. Così Rango, che conosce bene l’ambiente, si rivolge a L (iniziale del suo nome), agente di polizia penitenziaria presso la casa circondariale di Cosenza.

Così, L, l’infedele, si adopera a fare la spola tra Rango e suoi sodali, che devono aggiustare la matassa. L’agente di polizia è già da tempo organico agli amici degli amici. Infatti è conosciuto e rispettato nel quartiere dove abita a nord della città. Non ha problemi a fermarsi con la sua vettura di marca e fiammeggiante, davanti al bar frequentato dai compari, per un saluto o un caffè. Tanto sa che nessuno a Cosenza ficca il naso, laddove non deve.

E’ un praticante della regola dell’omertà e dello sprido. Purtroppo per lui, cioè L, i suoi compari d’affari che lo “stimavano” a botte di pampine gialle e viola, hanno iniziato a cantarsela, raccontando di tutto e di più sul suo conto, ma anche su altri; ed ora è lì che aspetta come tanti altri l’inevitabile epilogo di questa vicenda: da guardia a detenuto.

Ecco, questo è un altro episodio, ovviamente a conoscenza degli investigatori antimafia, che non lascia spazio a dubbi: Cosenza non è immune alla corruzione, a tutti i livelli. Ma sembra che questa lunga storia, fatta di infamità, vessazioni, violenze, taglieggiamenti, intrallazzi stia per finire. La procura antimafia, qualche uccellino ci fa sapere, ha già messo in moto le “volanti”.

GdD