Matteo Renzi aveva puntato forte su Reggio: una marcatura ad uomo per usare la metafora calcistica. Il premier ha viaggiato in tandem col sindaco Giuseppe Falcomatà quasi fino all’ultimo respiro ma anche nella città dello Stretto è stato stracciato.
Le nostre pagelle dei papponi/e del PD ricominciano da qui.
GIUSEPPE FALCOMATA’ voto 3
Le posse degli anni Novanta cantavano “Voglio fare il senatore per fottere meglio il tuo sudore”. Ebbene, Giuseppe “Ciccio Bello” Falcomatà incarna alla perfezione questo prototipo. Ha preparato il terreno a Renzi azzerando la giunta e costringendo, secondo le sue previsioni, i suoi assessori a sponsorizzare il sì con risultati inenarrabili. Pronto per il grande salto. Della quaglia.
SEBI ROMEO-NINO DE GAETANO-FEDERICA ROCCISANO voto 2
Uni e trini, legati da una catena perenne di corruzione. Il loro peso specifico in termini di voti dev’essere stato quasi irrilevante. Del resto, lo spot della Roccisano a Report e Nino De Gaetano scoperto con le mani nella marmellata a Palazzo Campanella sono la degna conclusione di una parabola politica imbarazzante.
MARCO MINNITI voto 1
Nel disastro totale del PD nessuno osa chiamare in causa Marco Minniti, ma in tutta sincerità qualcuno si è accorto che ha fatto campagna referendaria, esclusa qualche sporadica apparizione?
Eppure è l’unico esponente del Pd sopravvissuto sulla propria poltrona al passaggio di governo da Enrico Letta a quello dell’ex sindaco di Firenze.
Da quell’inattesa riconferma è cominciata la silenziosa ascesa che ha fatto di Minniti uno degli uomini più potenti del governo Renzi. Non è stato un semplice sottosegretario, per il premier valeva più di un ministro. Un agente speciale, con licenza di sconfinare in altri ministeri scrive Marco Damilano su L’Espresso. Con tanto di missioni speciali in Libia.
Eppure Minniti, inizialmente, non faceva parte del cerchio magico renziano. Fino all’elezione di Renzi alla segreteria del Pd, nel 2013, i due non si erano mai incontrati. Ai servizi segreti sembrava destinato il fedelissimo sottosegretario Luca Lotti, molto attratto dalla materia. La conferma è stata una sorpresa. Ancor più inaspettato il feeling nato tra due personaggi distanti anni luce.
A febbraio 2016 però è successo qualcosa. Dicono che Minniti fosse furioso con Renzi perché aveva mandato la Boschi a riferire alla Camera sullo spionaggio americano ai danni di Berlusconi. E’ evidente che si era rotto qualcosa nel loro rapporto. Dagospia ci aveva (giustamente) sguazzato e il montaggio è da Serie A.
Minniti ha all’attivo anche una lunga amicizia con Massimo D’Alema – ricorda ancora Damilano su L’Espresso -. Era uno dei Lothar negli anni Novanta, lo staff dalemiano di pochi capelli. Nel 1999 Minniti è a Palazzo Chigi come sottosegretario di D’Alema che ha deciso l’intervento in Kosovo. Con l’ex premier il sodalizio si spezzò nel 2010 quando D’Alema fu nominato presidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei servizi, incarico che sembrava spettare a Minniti, passato intanto con Walter Veltroni.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Anche l’agente Minniti è pronto al salto. Della quaglia. Come volevasi dimostrare.
2 – (fine)