Referendum, appello di Scanni e Bennardo alle organizzazioni giovanili

DA SINISTRA, IN DIFESA DELLA COSTITUZIONE

di Francesco Scanni e Luigi Bennardo

Alle diverse sensibilità della Sinistra, a chi non si arrende, a chi ancora crede che questo terribile ed intricato mondo si possa migliorare.

Un fenomeno che accomuna gli scenari politici di larga parte dei Paesi europei è certamente l’avanzata di forze, di diversa natura e ispirazione, alternative ai partiti tradizionali, che portano un segno più o meno eversivo nel quadro politico ed ordinamentale.

In questo contesto, perseguire ciecamente l’obiettivo della stabilità attraverso assetti istituzionali che la producano in maniera artificiale significa ignorare il fenomeno. In realtà, l’unico modo per evitare che il dissenso si trasformi in carica sovversiva è ascoltarlo, dargli voce, rappresentarlo, evitando di occultarlo ammantandolo con falsi proclami. La comprensione del disagio di vite sempre più frantumate e offese può essere perseguita soltanto attraverso la concezione proporzionale/rappresentativa del parlamento e delle sue funzioni, che è esattamente l’opposto di quella maggioritaria/decisionista proposta dal Governo.

I meccanismi concepiti dalla riforma costituzionale su cui concentreremo la nostra attenzione sono la clausola di supremazia e il meccanismo di priorità. Sono questi i principali fattori che determinano uno squilibrio nella divisione dei poteri a favore dell’esecutivo. Anche se non formalmente inscritto lo squilibrio esiste, di fatto, grazie ad alcune sostanziali modifiche nell’iter legislativo che investono i rapporti tra governo e parlamento e tra centro e periferie.

Con l’introduzione della clausola di supremazia, non soltanto tutte le competenze concorrenti verranno attribuite allo Stato ma, su proposta del governo, la legge statale potrà intervenire anche sulle materie di competenza esclusiva delle Regioni.

Mentre, attraverso il meccanismo di priorità, il governo potrà imporre alla camera il voto su un disegno di legge entro 70 giorni, impadronendosi così dell’Agenda dei lavori parlamentari. Un meccanismo che “ghigliottina” il dibattito parlamentare, senza che vi sia la necessità e l’urgenza (come per gli attuali decreti legge) e senza il rischio di decadenza anticipata del Governo (come avviene con l’istituto della fiducia), attraverso il quale il parlamento viene svilito, privato del potere di discutere e proporre modifiche.

scanni1 In questa maniera non è difficile immaginare il futuro assetto istituzionale del Paese: un esecutivo che trattiene la totalità dell’attività legislativa (fenomeno che si verifica anche oggi, ma che andrebbe scardinato, non normalizzato e inasprito) ed un Senato formato da Consiglieri e Sindaci i quali è difficile pensare che possano rappresentare un’opposizione alle proposte del Governo, dal quale le Regioni saranno più dipendenti dal punto di vista politico e finanziario, grazie alla ricentralizzazione operata dalla riforma.

Questo scenario si allontana sempre più dalla forma parlamentare di Stato, designata dalla Costituzione repubblicana, mentre si avvicina ad un presidenzialismo di fatto, peraltro privo dei contropoteri necessari contemplati in tutti i sistemi presidenziali (cfr. Stati Uniti). È da smentire, inoltre, la teoria che il nuovo assetto istituzionale renda l’Italia più simile alle democrazie europee. Su 28 paesi europei 15 hanno un sistema monocamerale; di questi 15, ben 14 eleggono la camera con un sistema proporzionale, ad eccezione dell’Ungheria (non proprio un modello da imitare).

Nei restanti 13 che hanno un sistema bicamerale, invece, la camera alta ha una funzione politica differente da quella bassa, che costituisce l’esistenza di un contrappeso. Per i sistemi presidenziali la questione dell’ingerenza dell’esecutivo non si pone, poiché governo e parlamento sono due entità distinte, non legate da meccanismi fiduciari.

Il caso italiano sarebbe quindi unico nella sua specie: un sistema parlamentare con forte interferenza del governo sul parlamento ed un Senato i cui membri, privi del vincolo di mandato, difficilmente potranno rappresentare una voce critica. Un sistema che non istituisce né un ordinamento federale né uno centralista e che per tale ragione è privo di un indirizzo istituzionale chiaro.

Va detto che l’analisi di questa riforma non può esimersi da quella del contesto politico e sociale in cui ci troviamo. Il progressivo smantellamento del diritto del lavoro, del welfare, e di importanti settori della vita sociale, come scuola e sanità, ci dovrebbe allarmare circa il fatto che l’eccessiva semplificazione, combinata con l’attenuazione dei freni che limitano il raggio di azione del governo nei confronti del parlamento, possa rappresentare il colpo di grazia per chi si prefigge di resistere al pensiero unico e di ricostruire un nuovo campo di valori e diritti sociali.

politica_refe_no_800_800Da questo punto di vista è facile capire che la questione della velocità nel processo legislativo è funzionale soltanto a tutta quella serie di poteri collaterali alla politica che per esercitare la propria forza hanno bisogno di tempi brevissimi di intervento.

Per farci un’idea pensiamo alla Loi du Travail francese per la cui approvazione Hollande ha scelto il disordine sociale pur di non finire nella morsa del rating finanziario che ormai esercita sui Paesi una funzione di disciplina fuori controllo. Peraltro l’istituzionalizzazione della velocità si pone in netto contrasto con i processi di solidificazione delle domande e dei bisogni sociali e con la loro esigenza di formarsi e trovare sbocco politico.

In una fase della storia in cui si racconta che l’accesso ai vantaggi della modernizzazione si conquista soltanto sacrificando tutele e diritti, assume sempre più importanza una visione critica che teorizzi e pratichi il ripensamento di quel sistema di inerzie, garanzie e procedure indispensabile per frenare e ribaltare il sistema di controvalori che ha portato 62 persone a possedere metà della ricchezza globale.

Esiste in realtà una strada migliore per lo sviluppo, non solo individuale ma soprattutto collettivo. Per percorrerla reputiamo che sia necessario salvaguardare la funzione di rappresentanza svolta dai corpi intermedi e la loro agibilità politica all’interno del parlamento.

Al contrario l’esaltazione del decisionismo è totalmente conforme al flusso ininterrotto dell’economia, per il quale diritti, assemblee, momenti di discussione e mediazione, sono una zavorra di cui liberarsi.

Per questi motivi il NO alla riforma costituzionale non risponde alla volontà di lasciare le cose immutate, anzi, rappresenta per noi l’espressione di un desiderio nuovo, di una società alternativa, contraria agli esiti politici e sociali prodotti dagli ultimi decenni di pensiero unico. Che la storia la scrivano i vincitori è un fatto noto.

Il 4 Dicembre il vincitore sarà il popolo sovrano che con il NO impedirà questo irresponsabile ed illegittimo tentativo di distorcere la Costituzione repubblicana.