Reggio Emilia, politica e cosche: la “visita” dei tre consiglieri di Cutro al prefetto

Appena qualche mese fa fa il sito emiliano Reggionline, collegato alla televisione TeleReggio, ha pubblicato una importante inchiesta, che è un approfondimento sui rapporti tra politica e criminalità organizzata. E’ stata ricostruita capitolo dopo capitolo una storia quasi ventennale, con l’ausilio dei risultati delle indagini e dalle sentenze, e proponendo atti giudiziari noti ma ormai dimenticati e documenti ancora inediti. Il tutto serve anche per inquadrare la realtà calabrese e l’attività per certi versi discutibile della Dda di Catanzaro. 

 

di Gabriele Franzini

Fonte: Reggionline

POLITICA E COSCHE: ANATOMIA DI UNA LETTERA  Politica e cosche: anatomia di una lettera

All’inizio del 2016 le minacce mafiose al sindaco Vecchi per costringerlo a difendere gli imputati del processo Aemilia. Con l’aiuto delle sentenze, ricostruiamo le tappe che portarono alla redazione e alla pubblicazione della lettera firmata da Pasquale Brescia

REGGIO EMILIA – Torniamo sulla lettera di minacce mafiose del 2016 indirizzata al sindaco Vecchi. Con l’aiuto delle sentenze, vediamo quali erano gli obiettivi e quale fu la genesi della redazione e della pubblicazione della lettera.

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Il collaboratore di giustizia Antonio Valerio ha messo a verbale che la lettera di minacce al sindaco Vecchi pubblicata il 2 febbraio 2016 dal Carlino Reggio fu ideata in carcere da Pasquale Brescia, dal suo avvocato Luigi Comberiati e da Gianluigi Sarcone. I giudici della Seconda sezione penale della Corte d’appello di Bologna, che hanno condannato per mafia Sarcone, hanno scritto nella sentenza che l’imputato si fece “promotore, ideatore e redattore insieme a Brescia di lettere con contenuti allusivi e ricattatori rivolte a figure istituzionali”. L’obiettivo era costringere Vecchi “a prendere posizione favorevole ai detenuti del processo Aemilia”. Ma in che modo una lettera di minacce al sindaco scritta dal carcere da un imputato accusato di essere un mafioso finì sulla prima pagina dei giornali?

Vediamo la ricostruzione dei giudici. L’avvocato Comberiati si presentò in redazione al Carlino su appuntamento la mattina del 1° febbraio, dopo due telefonate di preavviso. Il difensore di Brescia aveva già avuto numerosi contatti nelle settimane precedenti con una cronista del quotidiano: il 16 gennaio, più volte il 26, il 28 all’uscita da un colloquio in carcere con il suo assistito e di nuovo ripetutamente il 29. Il 1° febbraio, salito in redazione, Comberiati tirò fuori una busta sigillata, la aprì davanti alla giornalista e al vice capo cronista e lesse la lettera di Brescia ad alta voce. Secondo la Corte d’Appello, si trattò di “una vera e propria messa in scena” tesa a far credere che Comberiati non conoscesse in anticipo i contenuti della missiva e la sua “finalità minatoria”.

Le indagini hanno accertato che in realtà l’avvocato era in possesso di una versione della lettera già dal 28 gennaio, giorno in cui era stato a colloquio con Brescia in carcere a Bologna, ne aveva subito informato la cronista del Carlino e il 30 gennaio aveva inviato al giornale una copia della lettera via mail. Ma torniamo a quel 1° febbraio. Congedato Comberiati, il Carlino telefonò al portavoce del sindaco Giovanni Vignali, informandolo di avere ricevuto una lettera di Pasquale Brescia e di avere intenzione di pubblicarla. Vignali chiese di poter vedere la lettera, che gli fu spedita via fax. Il Carlino sollecitava una dichiarazione di Vecchi. Il sindaco invece, presa visione della lettera di Brescia, andò dai Carabinieri a sporgere denuncia e informò il Prefetto Raffaele Ruberto, che convocò d’urgenza il Comitato per la sicurezza.

POLITICA E COSCHE: LA VISITA DEI TRE CONSIGLIERI COMUNALI AL PREFETTO

Politica e cosche: la visita dei tre consiglieri comunali al Prefetto

All’inizio del 2012 Olivo, Scarpino e Gualtieri, di origine cutrese, incontrarono De Miro accompagnati dall’allora sindaco Delrio. Secondo i giudici del processo Aemilia fu una iniziativa ambigua, per la De Miro un incontro come tanti

REGGIO EMILIA – Cosa ci andarono a fare all’inizio del 2012 i consiglieri comunali Antonio Olivo, Salvatore Scarpino e Rocco Gualtieri dal prefetto Antonella De Miro? Questo incontro, che all’epoca non ebbe pubblicità da parte dei protagonisti, fu valutato con qualche sospetto dopo che l’indagine Aemilia, nel gennaio 2015, ricostruì le iniziative dispiegate dagli uomini della cosca Grande Aracri contro le interdittive antimafia delle Prefettura.

Il profilo dei tre consiglieri ha un suo peso. Antonio Olivo, imprenditore edile eletto in Sala del Tricolore per il Pd, ascoltato in aula come teste al processo Aemilia, minimizzò l’incendio appiccato in un suo cantiere in via Mascagni, negando che fosse doloso. Olivo aveva rapporti di frequentazione con diversi imputati poi condannati nel processo, come Pasquale Brescia, Romolo Villirillo e Gianluigi Sarcone. Salvatore Scarpino, consigliere comunale Pd di lunga data, conosceva da anni Brescia, anche per via di una lontana parentela. Rocco Gualtieri, consigliere del Pdl e nipote di Brescia, qualche settimana dopo la visita in Prefettura avrebbe partecipato alla cena al ristorante Antichi Sapori con Giuseppe Pagliani e con lo stato maggiore della cosca Grande Aracri.

Quando nel gennaio 2012 chiesero al sindaco Graziano Delrio di aiutarli ad incontrare il Prefetto De Miro per parlarle del disagio della comunità di origine cutrese, erano animati da buone intenzioni o agivano per conto di altri? Su questo episodio, che suscita ancora oggi dubbi e interrogativi, almeno una certezza c’è: il Prefetto De Miro non lo visse come un tentativo di pressione, né attribuì all’incontro particolare importanza. “Avvertivo la preoccupazione dei calabresi di essere accomunati alla ‘Ndrangheta, ed ebbi parole di rassicurazione nei loro confronti”, disse in aula durante il processo Aemilia di primo grado il 4 aprile del 2017.

Nella sentenza del processo Aemilia, però, i giudici hanno inquadrato quella iniziativa in modo critico: “L’episodio – scrivono – si colloca su un piano grigio e ambiguo, rivelatore di una mancanza di compattezza delle istituzioni nel sostenere l’azione del Prefetto. Si tratta, ad avviso del Tribunale, di una manifestazione di rigetto dell’opera del Prefetto, che resta uno degli aspetti più significativi in questa vicenda”.

Da quei consiglieri comunali, secondo i giudici, ci si aspettava altro. Cosa? “Segnalazioni e prove per allargare il raggio d’azione della Prefettura, dovendosi ritenere primario interesse della comunità anche calabrese l’eliminazione dal mercato delle imprese inquinate”.

(continua)