Appena qualche mese fa il sito emiliano Reggionline, collegato alla televisione TeleReggio, ha pubblicato una importante inchiesta, che è un approfondimento sui rapporti tra politica e criminalità organizzata. E’ stata ricostruita capitolo dopo capitolo una storia quasi ventennale, con l’ausilio dei risultati delle indagini e dalle sentenze, e proponendo atti giudiziari noti ma ormai dimenticati e documenti ancora inediti. Il tutto serve anche per inquadrare la realtà calabrese e l’attività per certi versi discutibile della Dda di Catanzaro.
di Gabriele Franzini
Fonte: Reggionline
Politica e cosche: quando il clan infiltrò il Pdl
Quarta puntata del nostro approfondimento sulla storia dei rapporti tra politica e criminalità organizzata sul territorio. Oggi raccontiamo ciò che avvenne una decina di anni fa, quando il partito fu infiltrato da numerosi esponenti della cosca Grande Aracri
REGGIO EMILIA – La mattina del 20 marzo 2012 il prefetto Antonella De Miro si trovava a Roma, alla scuola superiore del ministero dell’Interno. Ricevette una telefonata allarmata dal vicario: in prefettura era arrivata una busta indirizzata a lei. All’interno c’erano una lettera anonima di minacce e un proiettile calibro 7,65.

La sera del giorno dopo, in un ristorante di Gaida, quello che le sentenze definiscono “il gotha mafioso della provincia di Reggio” si ritrovò a cena per mettere a punto una strategia contro le interdittive antimafia della prefettura. A tavola con i capicosca c’erano due esponenti del Pdl: il consigliere comunale Rocco Gualtieri e il capogruppo in Provincia, Giuseppe Pagliani. “Quando lo seppi mi prese la nausea – mise a verbale la De Miro il 26 maggio 2015 – quando mai in Sicilia un politico se ne sarebbe andato a cena con un capomafia in un locale pubblico?”.
Il proprietario del ristorante, Pasquale Brescia, in seguito condannato per associazione mafiosa, era un sostenitore del Pdl. Nel suo locale in quegli anni si svolsero molti eventi conviviali di quel partito. E a casa di Brescia gli inquirenti trovarono foto insieme a esponenti nazionali del Pdl come Maurizio Gasparri e Vittoria Brambilla.
Tra gli imputati condannati nel processo Aemilia, Brescia non era l’unico simpatizzante del Pdl. C’era Alfonso Paolini, attivissimo, a cui Pagliani chiese aiuto nella raccolta di firme per le elezioni comunali del 2012 a Campegine. Alfonso Diletto era in rapporti con il candidato della lista Forza Brescello, Maurizio Dall’Aglio, per le comunali del 2009.

Le indagini hanno documentato l’interessamento dello stesso boss Nicolino Sarcone per la candidatura a sindaco di Paolo Catellani a Bibbiano, sempre nel 2009. E nell’incontro del 2 marzo 2012 nell’ufficio di Nicolino e Gianluigi Sarcone con Giuseppe Pagliani, Alfonso Paolini, Antonio Muto e Pasquale Brescia, si parlò dell’ipotesi di costituire un Circolo della libertà.
L’avvocato Liborio Cataliotti, ex coordinatore provinciale del Pdl, ha raccontato ai magistrati “quanto fosse preoccupato per l’apertura del partito a soggetti di chiara fama criminale come Diletto e Gianluigi Sarcone”. Era arrivato alla conclusione, si legge nella sentenza del processo Aemilia, “che il suo partito, il Pdl, era stato espugnato” dagli uomini della cosca Grande Aracri. Ma negli stessi anni, a Brescello, il clan era in grado di condizionare un’amministrazione comunale di centrosinistra.
POLITICA E COSCHE: QUANDO LA ‘NDRANGHETA MISE LE MANI SU BRESCELLO
Politica e cosche: quando la ‘ndrangheta mise le mani su Brescello
Negli stessi anni in cui infiltravano il Pdl reggiano, gli uomini della cosca Grande Aracri furono in grado di condizionare un’amministrazione comunale di centrosinistra. La quinta puntata del nostro approfondimento
BRESCELLO (Reggio Emilia) – Nella primavera del 2015, pochi mesi dopo la maxi-operazione Aemilia, negli ambienti politici e istituzionali della città circolavano voci sul possibile invio di commissioni d’indagine per valutare eventuali infiltrazioni mafiose nella vita amministrativa di alcuni comuni della provincia. Giravano i nomi di Montecchio, Bibbiano, Gualtieri, Reggiolo e Brescello. In giugno, la scelta del prefetto Raffaele Ruberto cadde sul paese di Peppone e don Camillo.

Nel settembre 2014 le parole dell’allora sindaco Marcello Coffrini su Francesco Grande Aracri, condannato per mafia e fratello del boss Nicolino, avevano destato scalpore e incredulità. I commissari passarono al setaccio l’attività amministrativa degli ultimi tre sindaci, tutti di sinistra: Ermes Coffrini, Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini. Prese così il via un meccanismo che avrebbe portato nell’aprile 2016 allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, lasciando in paese uno strascico di risentimenti per quel provvedimento vissuto da molti brescellesi come un’ingiustizia.
Ma è davvero così? Nella relazione finale della commissione prefettizia si legge che “l’atteggiamento di acquiescenza degli amministratori comunali nei confronti della locale famiglia malavitosa si è poi trasformato in una condizione di vero e proprio assoggettamento”. Sulla base della relazione, la procura di Reggio aprì 8 fascicoli d’indagine, per lo più su irregolarità in ambito edilizio e per abuso d’ufficio, tutti poi archiviati. Per chi contestò le conclusioni della prefettura, è la dimostrazione che il commissariamento era ingiustificato. Per la Direzione Nazionale Antimafia, invece, Brescello è un “tangibile esempio” di come la ‘ndrangheta agisce in Emilia, operando “un vero e proprio inquinamento della società civile, del mondo economico e politico”.
A Brescello abitava Alfonso Diletto, numero due della cosca, capo della zona della Bassa reggiana e di Parma. A Brescello abitava appunto Francesco Grande Aracri, che il pubblico ministero Beatrice Ronchi ha definito “la ‘ndrangheta in Emilia”. Nel novembre scorso, concludendo la requisitoria del processo Grimilde sulle attività della cosca a Brescello e non solo, la Ronchi ha osservato con amarezza: “E’ sconfortante il numero delle persone che negli anni hanno scelto di avere a che fare con i Grande Aracri: senza di loro, la mafia non ci sarebbe”.
(continua)