Reggio, Gotha. Condello il “supremo” e il pizzino al magistrato che favoriva i clan opposti al suo

Se ne vedranno delle belle a Reggio Calabria perché si sono rotti determinati equilibri”. Parole inquietanti contenute in un pizzino rinvenuto nel covo del boss latitante, Pasquale Condello “il supremo”, e rivolte ad un magistrato.

Un episodio affrontato nel dibattimento “Gotha” ed adesso evidenziato nelle voluminose motivazioni della sentenza emessa dal Tribunale collegiale: «L’esistenza del livello occulto, all’interno del quale operano soggetti con estrazione non propriamente ’ndranghetista, trova riscontro nel rinvenimento nel covo del latitante di un pizzino, destinato ad un magistrato non identificato. L’espressione va posta in relazione al manoscritto rinvenuto i cui contenuti sono non meno inquietanti: «Lei da quando è venuto a Reggio e sono moltissimi anni ha preso accordi con delle cosche favorendoli nei loro processi e questo è sotto gli occhi di tutti. Lei da queste cosche ha preso moltissimi soldi, e si è assunto l’onere di continuare la guerra con la sua penna a delle persone oneste. Lei non può indossare la toga per scopi personali, o solo, per difendere dei traffici di droga e assassini. Solo perché le danno moltissimi soldi e combattere ingiustamente persone con le mani pulite. Tutto questo finirà».

Non vi è dubbio che si tratti di un “pizzino” rivolto ad un magistrato che ha prestato servizio a Reggio anche se il destinatario del pizzino non è stato individuato: “Si tratta di un appartenente all’ordine giudiziario reggino, cui Condello Pasquale all’epoca dei fatti muoveva certamente delle accuse di parzialità e di corruttela. Verosimilmente Condello aveva un diretto interesse in tale vicenda, probabilmente aveva scritto personalmente il pizzino che doveva poi essere affidato a dei suoi emissari, i quali a loro volta si sarebbero poi interfacciati direttamente con il destinatario. Naturalmente Condello, nel fare ciò, sapeva che non aveva sicuramente nulla da temere, in quanto il destinatario evidentemente, una volta letto, avrebbe dovuto giocoforza o restituirlo o distruggerlo e comunque mantenere il più stretto riserbo in relazione alla questione, perché viceversa si sarebbe, in buona sostanza, autodenunciato. Il Condello accusava il magistrato di aver favorito delle cosche e minacciava che lo stato di fatto che si era determinato sarebbe cessato, evocando iniziative che chiaramente avrebbero rotto l’equilibrio che si era creato, ed in cui tutto ciò era stato possibile.

Non è dato sapere se il Condello evocava, con la frase pronunciata al suo arresto, la ripresa delle ostilità, cessate con la fine della seconda guerra di mafia, e che avrebbero comportato il riaccendersi delle contrapposizioni tra gli schieramenti dei Condello e dei De Stefano o piuttosto il disvelamento di fatti fino ad allora occulti”.

Certamente il Condello assumeva che soggetti della ‘ndrangheta, militanti in famiglie contrapposte a quelle dello schieramento condelliano, erano state avvantaggiate e favorite dal magistrato, che aveva operato anche a Reggio, dietro il compenso di ingenti somme di denaro.

Il Condello, con evidenza, aveva ragione di dolersi di tale trattamento di favore in quanto non ne aveva tratto beneficio, segno che l’organizzazione criminale privilegiata era ostile e contrapposta alla propria.

All’epoca in cui il Condello veniva tratto in arresto, i contrasti della omonima consorteria, in base a quanto dichiarato dal pentito Lo Giudice, erano proprio con la consorteria dei Lo Giudice, a cagione della cui strategia, ed in particolare del ruolo di confidenti di Luciano e Nino Lo Giudice, era stata resa possibile la cattura di Pasquale Condello, anche se tuttavia il pizzino riferisce del favoreggiamento di più cosche di ‘ndrangheta, i cui affiliati avevano consumato delitti sia in materia di droga, sia omicidi.

Per gli inquirenti, “il tema che pertanto si trae dal pizzino è quello dell’esistenza di appartenenti all’ordine giudiziario legati alla ‘ndrangheta quali interlocutori di esponenti della criminalità organizzata. Il riferimento è ad un unico magistrato, che per un arco temporale non certamente limitato ha favorito alcune cosche con la sua attività in cambio di compensi”.

In merito ai possibili riscontri investigativi, il maggiore Parillo ha citato il riferimento al coimputato magistrato Giuseppe Tuccio (nel frattempo deceduto) come personaggio a disposizione della ‘ndrangheta. Tale riferimento soggettivo era stato tratto dall’indagine “Lancio” tesa alla cattura di Domenico Condello, classe 1956. Antonino Imerti, in particolare, diceva che il magistrato Tuccio era stato sempre una brava persona nei processi e se poteva aiutare, aiutava… Tuttavia appare riduttivo e anacronistico ancorare il riferimento del pizzino al magistrato Giuseppe Tuccio, in pensione dal 2005, e che pertanto non svolgeva più attività, il che contrasta con l’attualità delle funzioni a cui allude il messaggio del boss Pasquale Condello.