Non siamo mai stati teneri con l’amministrazione Manna. E non per partito preso, ma per via dei numerosi riscontri oggettivi – recenti, contemporanei e passati – che raccontano la storia politica e professionale dell’avvocato Marcello Manna, già sindaco di Rende, il cui comune è stato sciolto per mafia proprio durante il suo mandato. Lo ripetiamo: chi è nato, cresciuto e pasciuto a Cosenza conosce bene l’origine della ricchezza e del successo di certi personaggi cittadini. Si chiamano verità storiche. Non hanno bisogno di sentenze per essere considerate tali: sono sotto gli occhi di tutti, sepolcri imbiancati che ogni comunità si porta dietro. Nel caso di Manna, però, alla verità storica si aggiunge anche una verità giudiziaria, almeno parziale, che già si è affacciata nei diversi gradi di giudizio. Quando la verità storica coincide con quella giudiziaria, manca solo una terza conferma: quella fattuale. E c’è chi dice che, quando tutte e tre convergono, ci si trova di fronte alla verità assoluta. E con Manna ci siamo quasi.
Della genesi e dell’ascesa dell’avvocato Manna abbiamo raccontato tutto: dal processo Garden ai giorni nostri, passando per l’ordinanza Reset, fino alla pubblicazione di un frame video della Guardia di Finanza di Crotone in cui si vede chiaramente Manna porgere una bustarella al giudice Marco Petrini per ottenere l’assoluzione di Francesco Patitucci, boss cosentino, da un’accusa di omicidio.
I motivi per sciogliere il Comune di Rende erano molti e ben documentati: non solo la presenza fisica di mafiosi che circolavano liberamente nei corridoi comunali, ma anche le concessioni di beni pubblici a soggetti vicini alla criminalità organizzata, travestiti da cooperative o da imprese. Fatti concreti che sgombrano il campo da ogni dubbio, tranne quelli volutamente strumentali, sulla legittimità dello scioglimento per infiltrazioni mafiose.Tutto riconducibile alla figura di Manna, che ha coltivato rapporti ambigui per raggiungere i propri obiettivi politici, a cominciare dalla sua elezione a sindaco. Forte del suo background da penalista, con una clientela in gran parte composta da criminali, non gli sarà stato difficile stringere patti inconfessabili: qualche voto in cambio di qualche favore, beni pubblici in cambio di consenso elettorale. Le responsabilità, ovviamente, non si limitano a lui. Ma se si dovesse fare un distinguo, in questo caso – e in casi simili – va fatto. E va detto chiaramente che il peso politico e operativo delle decisioni, in quella giunta, era concentrato nelle mani di Manna e di pochi altri.
Detto questo, il caso di Lisa Sorrentino – già assessore in quella giunta – merita un’analisi a parte. La sua iscrizione nell’elenco degli “impresentabili” pubblicato dalla Commissione Antimafia, va letta come un atto dovuto, derivante esclusivamente dal fatto di aver fatto parte di quell’amministrazione.
Come lei stessa ha spiegato nel suo post, non è mai stata indagata, né citata nella relazione di scioglimento del Comune. Il suo nome compare per automatismo normativo, non per un coinvolgimento diretto in fatti di mafia. Si può discutere sull’opportunità di rendere pubblico l’elenco a pochi giorni dal voto – ed è giusto farlo – ma pare che la Commissione abbia facoltà di agire in questo modo. Tuttavia, anche se legittimo, è innegabile che questo gesto generi un’ombra, un alone insinuante, che rischia di infangare la reputazione di persone la cui storia personale e politica va in direzione opposta rispetto a quella della criminalità organizzata. E Lisa Sorrentino è una di queste persone. Abbiamo sempre criticato la sua adesione al progetto politico di Manna, ritenendola incoerente con il suo percorso umano e politico. Ma leggere il suo nome in quell’elenco – per quanto tecnicamente giustificato – ci è parso ingiusto e offensivo, lesivo della sua dignità e del rispetto dovuto alla verità.
Dignitoso, limpido, integro: così è sempre stato il percorso umano e politico di Lisa Sorrentino. E per quanto la sua presenza nell’elenco degli “impresentabili” risponda a un automatismo normativo, resta un fatto che stride con quella storia, con quel profilo, con quel modo di vivere l’impegno pubblico. Perché le norme possono anche non distinguere, ma la coscienza civile sì. E chi conosce davvero le vicende, i ruoli, le responsabilità, non può confondere una firma su una delibera con un patto con la criminalità. Nel caso di Manna, verità storica, giudiziaria e fattuale coincidono e parlano chiaro. Nel caso di Lisa Sorrentino, bastano la verità storica e quella dei fatti. Perché non serve una verità giudiziaria quando le altre due sono già piene, nette, incontrovertibili. E non basta un elenco per cancellarle.