di Angelo Broccolo
Genti diverse venute dall’Est dicevan che in fondo era uguale. Credevano a un altro diverso da te. E non mi hanno fatto del male.
Pensavo a questi versi di Fabrizio de Andrè prima di varcare quella porta aperta sul mondo .
Perché questa è la piazzetta di Riace che accoglie sorrisi ,urla,schiamazzi di bimbi innocenti strappati da guerre e fame è la porta silenziosa e resistente che si apre sul mondo che vorremmo.
E dietro quella porta c’è Habashy, il “capitano”di una barca di uomini e donne che ha solcato il Mediterraneo alla ricerca del diritto di vivere un futuro degno di essere vissuto.
Ho visto il suo dolore che sale da dentro e che si ferma quasi con pudore sulle labbra secche, inumidite con gesti d’affetto da Lem Lem, una grande donna giunta dalle nostre ex colonie. Ha occhi che stanno chiudendosi al destino e che esprimono il dolore dei perdenti, su un volto scavato da rughe assurde per un uomo di appena cinquantadue anni.
Lo hanno arrestato senza prove nonostante si sia sempre dichiarato innocente e dietro quelle sbarre del carcere di Arghillà per quasi cinque anni -di vita -dove non ha potuto esprimersi nella Sua lingua e non è servito a nulla lamentarsi del dolore crescente che negli ultimi tempi non lasciava requie.
Come se il dolore avesse una lingua e non segni semeiotici che bastava cogliere con il supporto di un minimo di dubbio ed umanità.
Il dubbio e l’umanità cardini del nostro sapere d’occidente.
E’ stato infine liberato quando si è “scoperto” che un tumore al quarto stadio si era fatto spazio nel Suo corpo.
Ed è arrivato come tanti altri in questo tempo nella piccola Riace emblema della Resistenza alla’ disumanità.
Mimmo Lucano si sofferma su quella “K” che al primo tempo non gli dice nulla e che dopo traduce in Killer ed il sicario di quell’uomo è una assurda ed inumana legge del respingimento che trova l’apice nell’art 12 alibi perfetto in una trama dove si rovesciano carnefici e vittime.
Eccolo il pericolo dei nostro confini,un uomo lontano dalla famiglia che forse non vedrà mai piu’, che ha attraversato il mare ed ha guardato alla nostra Terra come Ulisse Ed Enea ed invece ha trovato odio e respingimento.
Che una volta “preso” credeva di andare in un centro d’accoglienza ed invece è stato “tradotto”in una cella dove per anni non ha potuto esprimersi nella sua lingua e da dove è stato lasciato libero per andare incontro alla morte.
Dall’Ospedale di Locri credo abbiano deciso, con sensibilità, di suggerirgli uno dei pochi spazi liberi dal conformismo ipocrita del nostro tempo.
La piccola Riace che accoglie e cura il dolore degli ultimi.
Un giorno dal fondo del letto dove il dolore indicibile lo ha costretto ha sentito le urla gioiose dei bimbi che giocano nel Villaggio Globale ed ha chiesto di poterli guardare da quella porta! Ha sorriso.
Forse ha trovato finalmente l’Italia che cercava.
A Riace che ancora una volta si son “rivelate” le parole del Vangelo:
Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».
(Vangelo secondo Luca, 10, 25-37)
Ha sorriso guardando quei bambini ed ora penso che questo sia il monito più terribile che lascia alla cecità del potere; da Riace rinasce sempre una speranza in grado di far sorridere i poveri inchiodando e sfidando ipocriti e potenti, che tramano contro l’umanità costruendo i fili della disumanità attraversi il nostro tempo.
In quel sorriso sta la forza di un messaggio lanciato dal cielo da Riace da un uomo che cercava libertà e dignità ed ha trovato il calvario del dolore.
Come migliaia di dimenticati che chiedono di essere ascoltati e ricordati.
Ha attraversato il nostro tempo per chiederci di essere attenti e vigili in questa notte di tenebre.
A nessuno è concesso il silenzio lo dobbiamo al “Capitano” di una nave che ha solcato e sfidato il mare dell’ingiustizia ,Habashy Rashed Hassan Arafa,questo è il Suo nome.
Che le stelle il guidino il Tuo cammino, Capitano…