La parabola ascendente di Roberto Occhiuto, così come a suo tempo quella del fratello Mario, è stata bruscamente interrotta dalle inchieste della magistratura, sicuramente indotte dal potere politico ma sufficienti per evitare dapprima che il cazzaro salisse alla Regione lasciando il posto proprio al fratello “immacolato”, che tuttavia adesso paga con la stessa moneta. E per fortuna non esiste un terzo fratello Occhiuto…
L’ambiguità e la corruzione latente degli Occhiuto, già emerse all’epoca delle inchieste su Mario, diventano ancora più imbarazzanti con quella che ha ridotto in mutande Robertino: un labirinto di nomine e incarichi e il tragicomico tentativo di dimostrare di avere un “lavoro”, visto e considerato che tutta la Calabria sa che non ha mai lavorato un giorno in vita sua.
Gli Occhiuto, come la gente d’Inghilterra, si attribuivano lo stesso genere di vittoria a furor di popolo contro i partiti, i poteri forti, i giornali facendo finta che dalla loro parte non ci fossero Forza Italia, Fratelli d’Italia, la Lega, la Gazzetta ed il Quotidiano del Sud (la moglie di Posteraro è addirittura parente diretta dell’editore!), la sua televisione di famiglia ovvero Ten, il suo giornale di famiglia ovvero il Corriere della Calabria ma all’occorrenza anche le tivù “nemiche” utilizzate per far passare messaggi e fughe di notizie… E ancora il clan mafioso che una volta era comandato da Lanzino, poi da Patitucci e adesso dai Di Puppo nelle persone di Carmine Potestio ed Ernesto Ferraro, diversi finanziatori più o meno occulti ed una macchina affaristico-clientelare collaudata per dieci anni al Comune di Cosenza e portata “para para” anche alla Regione con gli stessi personaggi.
Ieri Mario oggi Roberto. Nel momento in cui il terreno gli scivola sotto i piedi, entrambi hanno attivato la stessa forma di difesa: due campioni del vittimismo, che si lamentano per le ciniche manovre di Palazzo delle quali sono rimasti vittime dopo averle agitate per gli avversari, per la fine, in articulo mortis, della sindacatura prima e della presidenza della Regione Calabria adesso.
Quanto fossero specchiati e trasparenti (ccuri cazzi…) i loro governi lo sappiamo tutti. Mario fu capace di “partorire” 61 determine in una stessa notte d’agosto, le innumerevoli determine sotto i 40.000 euro per poter affidare direttamente i lavori, gli 800.000 euro per le luminarie ad una sola ditta, i pestaggi per le cooperative, gli accordi con la mafia e con lo stato deviato, eccetera eccetera. Robertino non è da meno: almeno due milioni e mezzo “rapinati” a Posteraro per comprarsi una vigna e compensati con una girandola di nomine che ha toccato e superato i 500 mila euro, l’incoronazione spregiudicata e senza precedenti del nipote dei boss Di Puppo a capo delle Ferrovie della Calabria. E ancora non sono usciti fuori i “traffici” con Carminuzzu Potestio, anche questi comuni a tutti e due i fratelli. Eppure hanno il coraggio di dichiararsi “vitttime”. Insomma, le solite facce di bronzo da scribi e farisei quali sono.
Si sono presentati e hanno stravinto sotto queste, mentite, spoglie di uomini miti e accomodanti, per condurre, come il pifferaio di Hamelin meglio conosciuto come il pifferaio magico, la “ggente” di Cosenza e della Calabria, il popolo cosentino e calabrese dietro di loro. Ma alla fine entrambi hanno dimostrato il loro vero volto di politici spietati, affaristi, rapaci e anche mafiosi. Ma ormai il ruolo di pifferai magici è finito e non dev’essere un caso, diciamo pure che è stato un lapsus freudiano, se Robertino, dovendo commentare la sua vicenda giudiziaria, ha candidamente dichiarato che non è sereno… un piffero! Quel piffero che ormai non incanta più nessuno…









