Robertino Occhiuto (e famiglia) story/1: l’arresto di Mario, il Palazzo della Sanità e Ten finanziata da Gatto

Per poter immaginare il futuro molto spesso bisogna guardare al passato e noi vorremmo, con i nostri immensi limiti, provare a inquadrare meglio la storia di Robertino Occhiuto alias il parassita e di riflesso anche quella della sua famiglia. Perché ormai anche lui, pur se con le dovute proporzioni rispetto alle “imprese” del fratello Mario, non scherza affatto con i movimenti truffaldini e persino con i fallimenti.

Tutto inizia dal padre (persona seria) che con la sua attività di ortofrutta riesce a campare la famiglia in maniera dignitosa e persino a fare studiare e laureare i figli. Poi come in tutte le dinastie che si rispettano i figli si impossessano dell’attività familiare e… la fanno fallire. La prima “botta” è arrivata con l’arresto di Mario e del suo sodale Franco Petramala per la vicenda degli appalti truccati all’ospedale dell’Annunziata nel 1994. In estrema sintesi: Mario aveva una società di nome Secop con la quale vinceva appalti a tavoletta e riciclava denaro ma l’aveva fatta così sporca che neanche una procura corrotta come quella di Cosenza aveva potuto far finta di niente. Anche perché in tutto questo can can c’era scappato pure il morto, un povero operaio su uno dei cantieri di Occhiuto e Petramala. Decisamente troppo.

Pur se Mario ne uscirà indenne, il danno di immagine e anche economico è stato notevole ed è stato per questo che Mario ha convinto il povero padre due anni dopo, nel 1996, a finanziare parte dell’operazione tycoon ovvero l’acquisizione delle televisioni private cosentine Teleuropa, Telestars e Rete Alfa. all’interno delle quali è stato inserito anche Robertino, che all’epoca era già consigliere comunale del Ppi (il partito nato sulle ceneri della Dc) ed era diventato “famoso” per avere occupato la stanza del sindaco Mancini, che a suo modo di vedere, doveva abbandonare il Comune perché condannato in primo grado per la storia di mafia che gli era stata appioppata addosso da Minniti e Violante, viola… di rabbia dopo aver perso le elezioni comunali cosentine del ’93. E meno male che il fratello furbo di Occhiuto era ancora “democristiano-popolare”… Perché neanche qualche mese dopo, era stato suo fratello a finire nella rete della giustizia e il giovane Occhiuto aveva fatto la stessa figura di quegli stupidi che sputano in aria e poi si espongono al vento in maniera tale che lo stesso sputo gli ritorni in faccia. Un trionfo!

Mario Occhiuto nel 1994

Ma torniamo alle televisioni. Mario e Robertino, che non hanno mai lavorato un giorno nella loro vita, usavano le tivù per i loro movimenti politici e per creare un “polo” da contrapporre agli odiati Gentile, non ancora Cinghiali. Un tira e molla pressoché continuo e durato anni con attacchi e “ritirate” strategiche, rilanci e pax “mafiose”. Ben presto i soldi di papà finiscono e occorre trovare un “bancomat” da spennare al meglio, ovviamente dopo averlo circuito e avergli fatto capire che con loro avrebbe potuto arricchirsi facilmente. Il soggetto ideale è tale Tonino Gatto, re indiscusso della grande distribuzione con i suoi supermercati Despar e molto vicino anche alla massomafia che conta, oltre che ambizioso e truffaldino. Il profilo perfetto per Mario e Roberto Occhiuto.

Vi raccontiamo allora la vera storia del Palazzo della Sanità, o meglio del suo fantasma (visto che non è mai stato posato neanche un solo mattone di quest’opera), che si materializza solo nelle aule dei tribunali.

Corre l’anno 1995 e anche all’allora ASL numero 4 di Cosenza viene nominato il primo manager nella persona di Lucio Sconza. Viene dato in quota CCD (il vecchio nome dell’Udc), sponsorizzato da Franco Pichierri ma anche dai fratelli Mario e Roberto Occhiuto, che già si affacciano al proscenio della “politica sanitaria” e che grazie a Pichierri hanno conosciuto il “capo” del CCD, che è quel gran furbacchione di Pierferdinando Casini e il suo riferimento in Calabria, Tonino Daffinà da Vibo, pezzo grosso della massoneria deviata. Mario, in particolare, è fresco reduce dalla brutta avventura con la sua Secop (società di intrallazzi) e con quel traffichino di Petramala, che gli è costata addirittura 20 giorni di carcere. Ma non è certo questo che frena la sua sete di potere e di denaro.

La novità e la voglia di fare provocano una piccola rivoluzione all’interno di un ente sclerotizzato. Sorge qualche idea innovativa. Un primo elemento che risulta evidente è che nella città di Cosenza ci sono 24 sedi diverse dislocate nei luoghi più impensati per offrire i servizi sanitari ai cittadini. La folle dislocazione determina una mancanza di collegamenti tra le varie prestazioni con la creazione di percorsi diagnostico-terapeutici che somigliano a un perverso gioco dell’oca, disegnato sulla pelle dei cittadini-utenti. In più, questa dispersione ha un costo esorbitante, pari circa a un milione e mezzo di euro annui per il pagamento dei fitti ai proprietari dei vari immobili.

Lucio Sconza

Il manager Sconza, fresco di nomina e di entusiasmo, intravede una soluzione che potrebbe essere l’uovo di Colombo: costruire un Palazzo della Sanità in cui accentrare tutti i servizi sparsi sul territorio. Con grande celerità viene indetto un appalto-concorso internazionale. Aggiudicatario risulta l’impresa Adifin di Michele Allegrini (noto gioielliere) e Giuseppe Di Donna (famoso commercialista), che si servono dell’architetto Mario Occhiuto per la progettazione.

Successivamente le quote della società vengono cedute agli imprenditori Antonio Gatto (per gli amici Tonino, il re della Despar di cui sopra) e Francesco Paola. Viene firmato un contratto tra l’Asl 4, la società con il quale si stabiliscono le condizioni a carico di entrambi i contraenti. In particolare, viene quantificato in 29 miliardi di lire l’importo dell’intero edificio, vengono stabiliti i tempi di realizzazione (36 mesi) e le modalità di pagamento, anticipo e somma da corrispondere alla fine della costruzione.

Il vecchio leone Giacomo Mancini, sindaco dell’epoca, intuisce il grande impatto urbanistico e sociale dell’iniziativa e si affretta a rilasciare la concessione edilizia. A quel punto tutto è pronto per la posa della prima pietra.

Dense nuvole si addensano però sull’orizzonte regionale. La giunta Nisticò inciampa e cade. Si assiste a un ribaltone che porta il centrosinistra puntellato da tanti transfughi al governo della Regione. Luigi Meduri è il nuovo governatore.

Lucio Sconza viene ghigliottinato e al suo posto subentra Mario Santagati, proveniente dalla Calabria Ultra. Il Palazzo della Sanità diventa una vittima sacrificale, un capro espiatorio da offrire al proprio sponsor. Non si tratta di un fatto puramente simbolico ma il frutto di una valutazione di interessi concreti dei ribaltonisti.

Bisogna difendere i locatori degli immobili che avevano cominciato ad agitarsi temendo di perdere la preziosa “minna” che dà tanto buon latte sonante. In secondo luogo (o in primis?) vi sono le cliniche private, che nell’inefficienza si ritagliano una fetta importante della “magna torta” sanitaria e le famose strutture miste dove si annidano interessi pubblico-privati.

Seguendo la logica andreottiana viene insistente un pensiero maligno. Gentile e Adamo hanno certamente remato contro al Palazzo della Sanità. E così si affonda il Palazzo sotto il profilo della regolarità delle procedure annullando la gara di appalto.

Santagati porta a casa il risultato sfruttando una serie di cavilli ma un bel giorno accade il miracolo. L’avvocato Benedetto Carratelli invia un decreto ingiuntivo per la prima parte relativa a lavori (mai effettuati) e un giudice non togato glielo riconosce: circa due miliardi e mezzo delle vecchie lire.

Il miracolo, però, non si ferma qui. Perché nello stesso giorno, per la precisione nel primo pomeriggio, la Banca Nazionale del Lavoro di Cosenza, tesoriere dell’Asl, acconsente al sequestro della cifra.

Con quei soldi, Gatto paga il progettista Mario Occhiuto, l’avvocato Benedetto Carratelli e gli rimane comunque un bel gruzzolo in tasca.

Inizia così una infinita querelle giudiziaria. L’Asl si affida a Oreste Morcavallo, avvocato amministrativista di grido e vince sia davanti al tribunale che in Corte d’Appello. Gatto (e quindi anche Occhiuto e Carratelli) dovrebbe restituire i soldi all’Asl e così, con la mediazione di Franco Petramala, eccolo che ritorma, che conosce tutti e sa come agire e in più è rimasto amico fraterno di Mario, col quale è stato arrestato insieme…, nel frattempo salito al trono dell’Asl, si trova una conciliazione prima di finire in Cassazione.

L’Adifin srl si impegna a cedere il terreno di proprietà ovvero il suolo dove sarebbe dovuto sorgere il Palazzo, tra via Popilia e viale Falcone, più una serie di altre somme a risarcimento di quei due miliardi e mezzo di vecchie lire, oggi 5 milioni di euro a causa non solo della rivalutazione dopo il cambio di moneta ma anche per la crescita esponenziale degli interessi maturati in quasi vent’anni di querelle giudiziaria.

Di quella conciliazione si era persa traccia fino a qualche anno fa, quando il tribunale ha dato ragione all’Asp. Ma è stata la classica vittoria di Pirro, perché – in classico stile prendi i soldi e scappa – l’Asp non ha trovato una beata… minchia (Cetto docet) per potersi rivalere.

L’operazione Palazzo della Sanità convince Tonino Gatto a mettersi in società con gli Occhiuto e la televisione ammiraglia di famiglia, Teleuropa Network abbreviata in Ten, vive così il suo periodo d’oro. I giovani Occhiuto con la loro tivù di famiglia fanno il bello e il cattivo tempo, usandola come clava grazie a uno stuolo di giornalisti venduti e compiacenti e diventando sempre più potenti. Mario si rilancia professionalmente e Robertino diventa prima consigliere regionale (nel 2000 sotto le insegne di Forza Italia) e poi addirittura deputato (dopo essere passato con Casini) galleggiando alla grande nel mare melmoso del centrodestra e sfidando addirittura i terribili fratelli Gentile.

Ma non è tutto oro quel che luccica perché gli Occhiuto sono personaggi particolari e quando il signor Despar ha capito che erano soprattutto un pozzo senza fondo, ha iniziato a chiudere i rubinetti anche perché nel frattempo è finito nel mirino della magistratura e proprio non poteva permettersi di essere ancora associato a tali soggetti. E si ritorna al punto di partenza. Serve un altro “bancomat” per dare una mano a Mario, ritornato con le pezze al culo, e per mantenere Robertino nell’agone politico che conta.

1 – (continua)